È una affermazione netta, perentoria, impegnativa, quella che stamattina ha fatto il presidente Giuseppe Conte a Milano, davanti all’assemblea annuale di Assolombarda. Verrebbe da dire: “Finalmente qualcosa di liberale!”. Una promessa solenne, che speriamo sia mantenuta. Sollecitato dal battagliero presidente degli industriali milanesi Carlo Bonomi, il premier ha affermato: “No a nessuna patrimoniale!”.
Fra bonus vari, redditi di cittadinanza, politiche redistributive e settoriali, che i governi fossero giallorossi o gialloverdi, in Italia ha prevalso negli ultimi tempi una cultura antiliberale e antindustriale. Quasi che la ricchezza fosse opera del maligno e il denaro che ne è l’indice “lo sterco del demonio”, come lo definivano i teologi medievali.
Ora, sia chiaro, qui non si vuole dire che la crisi nel nostro Paese non sia stata molte forte e che, in quanto tale, non sia stato giusto pensare a come attutirne gli effetti con politiche anche attive, soprattutto di impatto sulla classe media. Quel che qui si vuole dire è che a volte è sembrato quasi che fosse la diseguaglianza delle fortune la causa dei nostri guai e che, per risolverli, bastasse solo dividere in maniera più equa la torta delle risorse. Solo che nel frattempo quella torta è andata sempre più assottigliandosi e siamo vissuti più di rendita che di altro. Non è un caso che la nostra produttività sia scesa sempre di più e che, in questo indice, siamo quelli, in Europa e non solo, che si muovono più lentamente.
Fino a qualche anno fa, anche se si razzolava male, comunque si predicavano sane ricette liberali. Poi nemmeno più quelle. I partiti tutti, a destra come a sinistra, hanno cominciato, anche per biechi calcoli elettorali, a far passare l’idea che il profitto fosse qualcosa quasi di peccaminoso. E nessuno si è più peritato di spiegare come esso, nella misura in cui viene reinvestito, è indice di ricchezza per tutta la società.
Anche il discorso delle tasse si inserisce in questo contesto. I liberali non le hanno in simpatia non perché sono tendenzialmente degli evasori, come qualcuno potrebbe semplicisticamente dedurre. Essi ritengono, semplicemente, che una tassazione eccessiva possa ancor più ridurre il profitto, e comunque eliminare quella molla a lavorare e a produrre che alla fine fa la ricchezza di una nazione.
Capisco che la mentalità liberale è controintuitiva: spostare risorse verso i poveri e verso settori particolari può sembrare, a tutta prima, la via maestra da seguire per uno Stato. Compito dei liberali in genere, e delle classi dirigenti più avvedute in particolare, sarebbe però anche quello di infondere qualche sano principio liberale nella loro azione e di saperlo comunicare.
Anche il new green deal, che pure ha a mio avviso tanti aspetti poco chiari o dubbi, può assumere un valore positivo se non viene interpretato nel senso della “decrescita felice”, ma in quello del normale processo di “distruzione creatrice” o reinvestimento che già secondo Schumpeter è proprio del capitalismo. Il quale, si può dire parafrasando Winston Churchill, non è un buon sistema economico ma gli altri possibili sono ancora peggio.