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Zucchero e plastica? Perché dico no alle tasse etiche

“E mo’, e mo’, e mo’… Moplen!”. Saranno in pochi a ricordarsi di questo tormentone che andava in onda la sera durante “Carosello” negli anni Sessanta. A pronunciarlo era il viso pacioso di Gino Bramieri, che tanta simpatia e buon umore trasmetteva agli italiani degli anni del boom economico. E infatti il moplen era una invenzione del nostro premio Nobel Giulio Natta: un tipo di plastica particolarmente funzionale e che era il simbolo stesso della stravolgente modernizzazione italiana.

È passato mezzo secolo e ora il governo italiano si appresta a varare una tassa sull’uso della plastica non irrilevante per le tasche dei cittadini. Nel Documento programmatico di bilancio, la cosiddetta “manovra”, viene infatti introdotta una norma che, per favorire la sostenibilità ambientale, prevede una “imposta sugli imballaggi di plastica con decorrenza dal primo giugno 2020 (aliquota 1 euro per kg)”. Saranno interessate le bottiglie di plastica, certi medicinali, i contenitori di detersivi, ecc. In barba ad ogni autonomia, seppur relativa, del principio economico, il governo ha motivato con fini etici queste nuove imposte (non solo sulla plastica, ma anche sul fumo, le bevande gasate, i giochi d’azzardo). È giusto? Diciamo che da un punto di vista liberale è sbagliato indurre nei consumatori comportamenti virtuosi, o dissuadere comportamenti viziosi. Il rischio è quello di creare una qualche forma se non di “Stato etico” con tanto di paternalismo e pedagogismo annessi.

Ognuno dovrebbe avere, da un punto di vista teorico, il diritto di danneggiare la propria salute o di suicidarsi se non porta danno gli altri (paradosso della nostra epoca, il “suicidio assistito” è legge o quasi!). Ma anche da un punto di vista economico, sia teorico sia pratico, le misure appaiono quanto meno controverse. L’interventismo suscita di per sé perplessità, soprattutto quando, come in questo caso, è selettivo: altera la concorrenza e favorisce interessi particolari. È pur vero tuttavia che il capitalismo è in crisi e che la crisi, che è strutturale a questo sistema di produzione (di cui fra l’altro non esiste empiricamente alternativa migliore), esige attualmente una riconversione della produzione, cioè quella “distruzione creatrice” di cui parlava il grande economista austriaco Joseph Schumpeter, che le politiche verdi potrebbero favorire.

C’è tuttavia da fare i conti, anche in questo caso, con tutti i rischi del dirigismo delle politiche macroeconomiche: le conseguenze inintenzionali delle decisioni pubbliche. A tal proposito, giusto per fare un esempio, l’obbligo dell’uso dei sacchetti biodegradabili per la spesa nei supermercati non ha fatto altro che aumentare, come riporta La Repubblica stamane, gli acquisti di frutta preconfezionata. Da un punto di vista pratico, poi, la plastic tax sembra sia stata studiata così male da scontentare tutti: dagli industriali del settore, che vedranno danneggiata la loro produzione, ai consumatori, su cui si riverserà buona parte o forse tutto l’onere economico, fino alle associazioni ecologiste.

La plastic tax scontenta tutti: gli industriali che vedranno danneggiata la propria produzione, i consumatori su cui si riverserà una buona parte o forse tutta. L’impressione è che quella della sostenibilità sia per il governo giallorosso una buona scusa o un alibi per tassare, non essendo altrimenti facile trovare altrimenti quelle risorse che la situazione critica dei conti pubblici richiede.

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