Presentando il nuovo libro del suo predecessore alla guida de La Civiltà Cattolica, padre Bartolomeo Sorge, l’attuale direttore, padre Antonio Spadaro, sottolinea che questo volume prende le mosse dalla constatazione della contemporanea esistenza di tre crisi, quelle “economica, politica e culturale”.
La prima ha provocato una contrazione produttiva e delle opportunità di lavoro, portando con sé un aumento costante delle disuguaglianze. La seconda si manifesta nella progressiva perdita di capacità di rappresentanza degli interessi dei cittadini da parte dei partiti tradizionali. La terza comprende, tra gli altri, il disorientamento provocato dalle migrazioni, la diffidenza verso il “diverso” e il bisogno di sicurezza. Con i gesuiti va spesso così: bastano poche parole per essere in “medias res”, cioè al populismo come risposta che fa il male del popolo.
Per restarci Sorge definisce un’altra agenda, rifacendosi all’appello di Don Sturzo ai liberi e forti: ispirazione religiosa, laicità, primato del bene comune e riformismo. Come in altre occasioni padre Sorge muove dal grande convegno ecclesiastico del 1976, quello in cui prevedendo la fine dell’esperienza democristiana si pensò a una rinnovata presenza cristiana. Sfida che però non si seppe seguire: “E cominciò una stagione politica che ha creato le condizioni per la crescita e la diffusione del populismo di oggi: il venir meno del senso dello Stato e del bene comune. In questo tempo si è fatta largo la convinzione che la maggioranza parlamentare si identifichi con il popolo intero, e i leader dei movimenti populisti hanno portato all’imbarbarimento culturale, avvelenando la società italiana con odio, egoismo, discriminazione delle persone immigrate, razzismo e xenofobia”.
Nel testo non si accenna a possibili eventi ecclesiali, ma un sinodo della Chiesa in Italia potrebbe essere ritenuto utile. Non a caso, si legge nella recensione di padre Spadaro, “il problema più urgente per ridare un’anima alla politica è aiutare la democrazia a ritrovare la sua fondazione etica”. Perché? Perché la fine delle ideologie del Novecento, tutte smentite dalla Storia, i ‘liberi e forti’ ai quali il popolarismo si rivolge ancora oggi siano tutti coloro – credenti e non credenti – che si riconoscono in un programma riformista di cose da fare, ispirato ai valori di un umanesimo trascendente, ma mediato in scelte laiche, condivisibili da tutti gli uomini di buona volontà.
Ciò implica quello che Sorge chiama “laicità positiva”, che consiste nell’incontrarci in ciò che ci unisce tra diversi, per crescere insieme verso un’unità sempre maggiore, nel pieno rispetto dell’identità di ciascuno. Per padre Sorge infatti è definitivamente archiviata e superata l’innaturale contrapposizione tra partiti laici e partito dei cattolici, propria dell’epoca ideologica. Come intendere infatti il bene comune se non si sa comprendere “l’insieme di quelle condizioni di vita che consentono e favoriscono lo sviluppo integrale sia delle singole persone sia della società nel suo insieme”.
Purtroppo, nota concordando padre Spadaro, “a causa dell’individualismo e dell’egoismo dominanti, c’è il rischio che si cada nell’errore di far coincidere il bene comune con il benessere materiale di una parte della comunità sociale o di un Paese. Non solo: sembra che il ‘bene comune’ sia stato sostituito dalla parola ‘popolo’, termine ridotto però a una nozione ambigua e vaga”.
Siamo alla base dell’ideologia populista, la contrapposizione tra élite e popolo: il popolo ovviamente sarà puro, le élite corrotte. Per questo il populismo porta con sé “una vocazione anti-pluralista, e molte sue forme sono solo varianti del personalismo tipico delle forme dittatoriali di esercizio del potere politico”.
È un rischio enorme, che va considerato in tutta la sua rilevanza e al quale padre Sorge risponde con un nuovo popolarismo: “Il malgoverno della globalizzazione ha accentuato le disuguaglianze, e la perdita di reddito e di sicurezza economica e sociale ha contribuito alla diffusione del populismo da parte di chi specula sul male del popolo per fare i propri interessi”.
Insomma, una volta finita l’epoca delle ideologie di massa, occorre anche rimettere mano alla vecchia forma ideologica dei partiti che le incarnavano. Essi oggi sono chiamati non più ad aggregare soggetti intorno a un’ideologia per affermarla contro le altre ideologie concorrenti, bensì a spingere i cittadini ad agire per il bene comune, attraverso scelte coraggiose e concrete.
Forse non è azzardato affermare che l’idea di un nuovo convegno ecclesiale sul modello di quello del ‘76 servirebbe di nuovo e tantissimo, per consentire ai cristiani di varare un’epoca nuovamente popolare, nella quale “collaborare con partner politici di diverso orientamento culturale, ricercando il maggior bene concretamente possibile, in dialogo con gli uomini di buona volontà. E ciò, ovviamente, senza rinunciare mai a testimoniare la forza profetica e critica del Vangelo in cui credono”.