La manifestazione promossa dalla Lega a Roma è riuscita, da ogni punto di vista: la piazza si è riempita, il centrodestra si è ritrovato e ha riconosciuto anche simbolicamente in Matteo Salvini il proprio leader. Eppure, l’impressione è che qualcosa ancora manchi a questa ritrovata alleanza, oltre al governo nazionale. E non è solo un problema di Stimmung, cioè di “stato d’animo”, che ovviamente non è e non può essere più quello di qualche mese fa.
I principali temi sono rimasti quelli di sempre, a cominciare dalla sicurezza e dalla sovranità nazionale, con le parole di Oriana Fallaci a far da incipit al discorso di Salvini. L’affondo sulle tasse c’è stato, è stato anche efficace con la citazione di Luigi Einaudi ma forse meritava molto più spazio: sarebbe stato un ottimo leit motiv di una manifestazione antigovernativa come questa visto che proprio l’idea che pagare le tasse sia bello è quella che l’attuale esecutivo sta cercando di far passare. E avrebbe costituito anche una forte discontinuità rispetto al recente passato.
Lo stesso dicasi per il tema della giustizia, sempre più colorato dalle parti governative di un giustizialismo che non solo è illiberale ma è anche dannoso, con i suoi effetti pratici di leggi e regolamenti, per chi voglia ancora nel nostro Paese fare impresa (possibilmente senza assistenzialismi e sussidi di sorta). Ovviamente, non si può chiedere a Salvini di non essere più Salvini. Né si può pretendere che Silvio Berlusconi riacquisti quel peso specifico e quell’energia volitiva che aveva un tempo. Eppure, l’impressione è che proprio da qui passi la rivincita del centrodestra.
Certo, Salvini ha ottenuto consensi stratosferici e se oggi non governa è solo perché l’Italia continua ad avere una forma d Stato fondata sul parlamentarismo spinto (anche la raccolta di firme sul presidenzialismo non ha avuto lo spazio che meritava). Ma ora sorge il problema non solo di conservarli, ma anche quello di ampliarli. Non riformulando l’agenda, ma adattandola ai tempi e ai modi dell’opposizione. Si tratterebbe di incalzare molto più il governo e le sue scelte, casomai proponendo con più chiarezza e forza un’altra visione del mondo. Ed esaltando ancor più il buon governo delle amministrazioni leghiste, con un’dea non solo protettiva ma espansiva della vita sociale e dell’economia.
Certo, lo schema popolo-élite, con cui ha cominciato il suo intervento, funziona ancora. Così come il richiamo alla San Giovanni di un tempo “tradita” da un Pd non più amico degli operai e dei lavoratori. Ma l’impressione è che tutto questo appartenga a un’altra fase della politica italiana, e che comunque oggi non basti. Anche sull’Europa, bisognerebbe insistere più sulle contraddizioni delle élite europee, fra l’altro per nulla compatte al loro interno, e sulla necessità di inserirsi in maniera più proficua in esse che non in una logica oppositiva che non porta molto lontano.
“Fuori la politica dalle Chiese e dalle scuole” è un ottimo spunto ma andrebbe molto approfondito se si vuol competere con la sinistra sul terreno, per nulla ininfluente, della cosiddetta “egemonia culturale”. L’opposizione dovrebbe servire alla destra a ragionare su tutto questo, non abbandonando le piazze (anche quelle virtuali) ma evitandole di rimanere imbrigliata negli schematismi mentali che esse sollecitano.