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Sanità. È possibile parlare di democrazia in medicina? Parla Maffettone

sanitàChe ruolo ha la democrazia in medicina e come garantire il diritto universale di accesso alle cure in un contesto di inevitabile scarsità di risorse? Come agire per migliorare la democraticità del sistema e come suddividere i compiti dei diversi attori che ruotano attorno al mondo della sanità? Di questo e molto altro abbiamo parlato con Sebastiano Maffettone, professore di Filosofia politica, direttore del Center for ethics and global politics e ideatore dell’Osservatorio Ethos presso la Luiss Business School, oltre che presidente della Scuola superiore di Giornalismo Massimo Baldini, in occasione del progetto “In Scienza e Coscienza”, nato dalla collaborazione fra Formiche e Fondazione Roche al fine di interrogarsi – e interrogarci – sul possibile bilanciamento fra il diritto dei pazienti a ricevere le migliori cure e la sostenibilità finanziaria e i vincoli economici che essa impone.

 

Democrazia in medicina. A che punto siamo? Il paziente è sempre al centro del sistema?

È complicato parlare di democrazia in medicina, sarebbe come voler parlare insieme di algebra e democrazia. L’algebra è accostabile alla medicina, si tratta di sapere scientifico e tecnico e come tale va trattato. E si rischia di incorrere nell’effetto tragicomico generato dalla questione vaccini, con persone che si informano sul web pretendendo di saperne alla stregua degli esperti. Quando invece, solo gli esperti sono “autorizzati” a trattare temi che richiedono saperi specifici e scientifici.

Come evitare questa deriva?

Con un altro approccio alla materia, più trasparente, corretto, onesto. Tutte qualità che la medicina deve avere per garantire quella democraticità della materia che si estende poi anche al rapporto medico-paziente, che deve diventare meno autoritario e oscurantista. Ma per fare ciò, appunto, ci vuole più trasparenza e anche una migliore comunicazione.

E come si migliora la comunicazione fra medico e paziente?

Guardi, io mi sono occupato molto di bioetica, nel corso degli anni. E un oncologo mi disse, a tal proposito, che per fare il suo mestiere doveva vedere almeno venti pazienti al giorno, ma parlando e dialogando con loro riusciva a vederne solo dieci. Ma il malato deve stare con il medico, che deve trattarlo non come un deposito di malattie, ma come una persona. So che è complicato, soprattutto in branche particolari come l’oncologia, ma proprio per questo il medico deve ricominciare a parlare con il paziente.

Lei ritiene che sia possibile “recuperare” questo tempo? Come?

Diciamo che negli anni la comunicazione ha assunto un ruolo di maggiore rilevanza nella società. Basti pensare anche al rapporto tra genitori e figli, dove le richieste di un padre o di una madre non vengono più condivise come imposizioni, ma sempre spiegate, giustificate. Si è sviluppata, insomma, una società più propensa alla spiegazione e alla trasparenza, e questo vale anche per la medicina. Bisognerebbe cercare di percorrere questa strada anche in questo settore.

E questo potrebbe migliorare o incrementare la democraticità del sistema?

In democrazia nulla è perfetto, ma in questo settore può funzionare se il rapporto fra costi e benefici è accettabile. Ricordiamo che l’Italia è uno dei primi Paesi per sanità pubblica, superando di gran lunga Paesi molto più ricchi e scientificamente più avanzati del nostro.

Ma come garantire questa democrazia, se siamo costretti, a causa della scarsità di risorse, a decidere in taluni casi chi curare e chi no o, ancora, se prescrivere o meno cure costose qualora minate da eventuali esisti incerti?

Quello che è certo che i costi in medicina sono potenzialmente infiniti, e questo non vale solo per l’Italia. So che moralmente è antipatico, ma un ragionamento sulla sostenibilità della cura va fatto. È una questione molto complessa che richiede un approccio al concetto di cura molto più ampio. Ricordiamo che cura non è solo terapia, ma anche attenzione che diamo al paziente. So che è drammatico, ma siamo costretti, a volte, a decidere chi curare e chi no. E, talvolta, anche a decidere di non curare quando i costi sono molto più alti dei benefici possibili. La medicina è una scienza, e come molte di queste opera in una condizione di ristrettezza delle risorse per cui sì, bisogna fare un ragionamento sulla sostenibilità della terapia. Ma sempre senza dimenticare il paziente, che deve essere al centro e avere il meglio di ciò che è possibile dargli.

E allora, chi decide chi curare e chi no? Le istituzioni? I medici? Occorre un piano generale o, invece, bisogna scegliere caso per caso?

Non è facile, per questo credo che la scelta di utilizzare dei comitati possa essere una buona idea. E non parlo solo del caso in cui bisogna scegliere se prescrivere una cura o meno, ma anche nel caso in cui bisogna decidere quale cura prescrivere in presenza di due o più soluzioni alternative. Comitati che siano ibridi, composti sia di una parte tecnico-scientifica, e quindi medica, sia di una parte economica, e quindi manageriale. Dove la decisione ultima, però, deve spettare sempre al medico, così come al medico spetta comunicarla al paziente.

 

 


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