È il poeta cattolico Charles Peguy il grande intellettuale che Papa Francesco ha scelto di citare per spiegare questo sinodo: “poiché non hanno il coraggio di essere con il mondo, pensano di essere con Dio. Poiché non amano nessuno, pensano di amare Dio.” Queste parole sono la sintesi migliore del confronto che si è svolto tra sostenitori e oppositori di questo sinodo e delle scelte che sono state compiute: stando con il mondo la Chiesa di Francesco ne ama il pluralismo e lo difende partendo da quella cultura che oggi rischia di scomparire: la cultura dei popoli indigeni dell’Amazzonia infatti rischia di essere travolta dalla cancellazione dell’Amazzonia, la Chiesa, davvero universale, difendendo la loro cultura, la loro spiritualità, sceglie il pluralismo come suo Dna. E siccome la sua missionarietà non era più capace di offrire preti a quei popoli, per seguitare ad essere con loro aggiorna il suo modo di essere e riconosce la possibilità per uomini indigeni sposati di divenire sacerdoti. I sacramenti non spariranno dall’Amazzonia e la spiritualità dell’Amazzonia trova un ruolo e un peso nella spiritualità cattolica, perché la globalizzazione uniformante uccide tutte le spiritualità, è la madre dei totalitarismi contemporanei.
La conclusione di questo sinodo segna dunque un punto altissimo, ma di partenza, non di arrivo. Un punto di partenza di quell’ecologia integrale che mira a costruire un nuovo modello sviluppo, anzi, un nuovo sviluppo, lo sviluppo umano integrale. Vediamo allora alcuni passaggi decisivi dei cinque capitolo del documento votato dai padri sinodali.
Il primo è quello dedicato alla conversione integrale, cioè a relazionarsi in modo armonioso alla casa comune. È già in sé il no che segna una svolta, il no alla base economica della globalizzazione uniformante, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse della terra per approfittarne e trarne un lucro distruttivo. Deforestazione e miniere clandestine non sono una denuncia nuova, ma parte di qui la constatazione rivoluzionaria che per servire i popoli indigeni occorre abbattere le frontiere che li dividono, creare un ministero dell’accoglienza perché la Chiesa deve facilitare tutte le forme di resistenza all’impedimento della libertà di movimento nell’immenso spazio amazzonico e l’innalzamento dei livelli di fratellanza nelle città della miseria.
Queste raccomandazioni rendono necessario l’altro grande passaggio rivoluzionario, quello del secondo capitolo: la Chiesa deve diventare anche amazzonica se vuole fare quel che dice. La pastorale amazzonica non può essere in visita nell’Amazzonia, ma occorrono avamposti, una presenza permanente e dunque tutte le congregazioni del mondo devono avere lì un loro avamposto fisico, concreto. Questo per essere “nei” popoli amazzonici, non soltanto accanto ad essi. Essere nei popoli amazzonici vuol dire avere preti amazzonici, riti amazzonici, una trasformazione che renderà la denuncia degli abusi e delle violenze predatorie che quei popoli, e quei territori, subiscono quotidianamente denuncia di vita e non di racconto.
Il terzo capitolo illustra una nuova difesa della vita. Appassionata da sempre della difesa della vita, la Chiesa di Francesco con questo documento vede che difendere la vita vuol dire difendere la terra, non essendoci vita senza terra. È una difesa dunque meno ideologica e più concreta, umana, necessariamente ecologista, per l’ecologia integrale. Ecco perché non può essere una Chiesa dallo stile colonialista. Bello a dirsi? Sì, ma farlo vuol dire cambiare musica e infatti il Documento sinodale propone che i centri di ricerca della Chiesa studino e raccolgano le tradizioni, le lingue, le credenze e le aspirazioni dei popoli indigeni, favorendone l’opera educativa a partire dalla loro stessa identità e cultura.
Eccoci così al quarto capitolo, quello che spiega la scelta dell’ecologia integrale. Questa scelta vuol dire che per curare le ferite dell’uomo vuol dire curare le ferite del territorio. “L’ecologia integrale non sia intesa come un cammino in più che la Chiesa può scegliere per il futuro, ma come l’unico cammino possibile per salvare la regione dall’estrattivismo predatorio, dallo spargimento di sangue innocente e dalla criminalizzazione dei difensori dell’Amazzonia.”
Si arriva così all’ultima rivoluzione, quella meno citata ma certamente fondamentale per il suo significato cattolico: è quella richiesta nel quinto capitolo, nel quale si indica che per essere davvero con e nelle comunità amazzoniche il documento sinodale raccomanda la costituzione di una commissione che sappia dar vita a una liturgia che possa valorizzare la visione del mondo, le tradizioni, i simboli e i riti originari, dunque un vero e proprio rito amazzonico, che affiancherebbe i 23 riti già esistenti nella Chiesa cattolica. È qui, in questo capitolo, che si chiede di aprire il sacerdozio anche a uomini sposati. Un’esigenza talmente logica per comunità così difficilmente raggiungibili da apparire ovvia: se la Chiesa deve farsi anche amazzonica, come potrebbe farlo se non ci fossero più sacramenti?