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Erdogan? Solo la Nato può metterlo alle corde. La versione del gen. Mini

“Solo la Nato può prendere l’iniziativa”. Il generale Fabio Mini, già capo di Stato maggiore del comando Nato per il Sud Europa e comandante della missione Kfor in Kosovo, non ha dubbi. C’è solo un modo per mettere alle corde Recep Tayyip Erdogan e presentargli il conto dell’invasione della Siria: agire in concerto con l’Alleanza atlantica di cui la Turchia è parte integrante.

Generale, la Lega propone di ritirare la nostra batteria di soldati al confine turco-siriano. È un primo passo?

Non ha senso ritirare i nostri soldati. Al confine abbiamo schierata una batteria di 130 soldati assieme ai missili terra-aria Aster SAMP/T e operiamo nell’ambito dell’operazione Nato Active Fence votata da quasi tutti i partiti lo scorso luglio. Premesso che lo scopo dell’operazione, difendere lo spazio aereo turco, non c’entra con l’invasione in corso, solo la Nato può dichiararla conclusa.

Gli Stati Uniti hanno fatto bene a ritirare il loro esercito?

L’esercito americano ha fatto finta di andarsene. Il comunicato della Casa Bianca deve essere letto ai raggi x. Dice che il governo ritira le truppe dalla Siria. È la verità: le truppe sono meno di mille, sul campo però rimangono circa 15.000 mercenari, diverse compagnie private di sicurezza, unità paramilitari addestrate dalla Cia in Giordania e Israele.

Un embargo delle forniture di armi fermerà Ankara?

È solo una foglia di fico. Prima di tutto il governo ha parlato di forniture che ancora devono essere contrattate. Secondo poi l’arsenale turco non si regge certo sulla vendita di armi italiane, ha alle spalle un imponente apparato industriale che lo rende quasi autosufficiente.

Francia e Germania si sono già espresse in questa direzione.

Ripeto, è un’iniziativa spot. Il blocco non lascia certo Ankara a corto di missili e munizioni. E uno sguardo alla bilancia commerciale fra questi Paesi e la Turchia mostra che l’export di armi e l’import di pistacchi e altri beni alimentari turchi sono quasi in pareggio.

In queste ore c’è chi parla di un’altra soluzione: richiamare il nostro ambasciatore ad Ankara.

Il richiamo dell’ambasciatore è una questione di carattere puramente diplomatico. Esaspera gli animi a livello politico e non ha alcun risvolto pratico. Quando il nuovo status quo siriano si stabilizzerà un gesto del genere può costituire un ostacolo insormontabile.

Qualcosa si può fare o no?

Se davvero si vuole agire per arginare la Turchia si deve intervenire in ambito Nato. Parliamo di un Paese che da tempo non adempie ai suoi doveri all’interno dell’Alleanza.

Ad esempio?

Si tratta di inadempienze tecnico-operative. È il caso delle esercitazioni congiunte cui la Turchia non invia più i suoi veicoli o lo fa in ritardo. Ankara non ascolta più le direttive della Nato, è abituata a inviare i propri generali a battere i pugni sul tavolo.

La Nato si è fatta sentire?

Non come avrebbe dovuto. La Turchia ha una grande rilevanza strategica e purtroppo la Nato è stata spesso suo “ostaggio”. Per trent’anni ha sopportato il conflitto con la Grecia, un altro Stato membro, che ci ha dato problemi enormi. E ha assistito senza muovere un dito a quattro colpi di Stato orditi da una parte dell’esercito turco. Questa condiscendenza era giustificabile durante la Guerra Fredda, quando la divisione in due blocchi faceva della Turchia un baluardo della politica atlantica, oggi non lo è più.

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