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Sui rimpatri Di Maio dichiara guerra a Salvini. L’analisi di Vespa

C’è un piano rimpatri che sembra semplificare molto le procedure sui migranti, ma che va verificato in pratica; c’è un decreto firmato dai ministri degli Esteri, della Giustizia e dell’Interno, ma che viene “vantato” da quelli del Movimento 5 stelle in chiara polemica con Matteo Salvini; c’è la Lega con l’ex sottosegretario Nicola Molteni che non ci sta e dice che si stanno prendendo i meriti del Carroccio; c’è Nicola Zingaretti che fa buon viso a cattivo gioco e incassa un colpo politico e di immagine dall’alleato di governo; c’è il capo della Polizia, Franco Gabrielli, che si dichiara contrario alle multe per le ong previste dal decreto sicurezze e rilancia la necessità di un piano per l’integrazione di cui si discute da anni. Su sicurezza e immigrazione si giocherà una partita decisiva anche nelle prossime elezioni amministrative.

I PUNTI DEL PIANO RIMPATRI

Il decreto per i rimpatri si basa su due punti: l’individuazione di 13 “Paesi sicuri” i cui cittadini, di conseguenza, non sono considerati aventi diritto all’accoglienza e la riduzione da 2 anni a 4 mesi del tempo per valutare le richieste di asilo grazie all’inversione dell’onere della prova: è l’immigrato in Italia a dover dimostrare di averne diritto. Luigi Di Maio ha confermato che l’ipotesi di redistribuzione in diversi Paesi europei contenuta nella bozza di accordo di Malta potrebbe costituire un fattore di attrazione e anche per questo i ministeri degli Esteri e dell’Interno hanno stilato la lista dei Paesi considerati sicuri: Algeria, Marocco, Tunisia, Albania, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Senegal, Serbia e Ucraina. Il titolare della Farnesina andrà presto a Tunisi dove discuterà di incrementare i rimpatri (oggi 80 alla settimana) e successivamente in Marocco. Secondo il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, il decreto interministeriale aiuterà anche la magistratura che è alle prese con decine di migliaia di richieste di protezione: dalle 47mila domande pendenti nel 2016 siamo passati alle 70mila del luglio scorso, nonostante i 14.290 procedimenti definiti nel 2016 e i 41.238 definiti nel 2018.

LA POLEMICA POLITICA

Pur essendo stato ovviamente coinvolto anche il Viminale, che però è gestito da un tecnico, è il Movimento 5 stelle a mettere cappello sul provvedimento per “arare” anche il terreno leghista. Un decreto che “non urla ma fa i fatti” è la definizione di Di Maio, visto che “sui rimpatri siamo all’anno zero, nei 14 mesi precedenti non è stato fatto nulla”. Anche per il presidente Giuseppe Conte “è una grande svolta”. L’attacco indiretto a Salvini è evidente e la Lega prova a reagire con l’ex sottosegretario Molteni per il quale “il tanto pubblicizzato decreto sui rimpatri è quanto già previsto nel decreto sicurezza osteggiato dal Movimento 5 Stelle. La lista dei Paesi sicuri era ferma da 10 mesi per i veti degli altri ministeri”. Secondo il leghista “potevamo farlo col nostro governo, ma i soliti e irragionevoli no del M5S avevano bloccato tutto”. La Lega sembra in affanno perché il tema dell’immigrazione, che porta e toglie voti, non è più solo suo. Restano da vedere i fatti perché Di Maio sostiene che il fondo per rimpatri, oggi tra i 2 ai 4 milioni di euro, può “arrivare a 50 milioni” e serve a “implementare gli accordi attraverso i progetti di cooperazione allo sviluppo”. Pensare che bastino 50 milioni è inverosimile. Dal canto suo, Nicola Zingaretti definisce “una buona idea” quella del Piano rimpatri ben sapendo che è un’altra grana da gestire con l’alleato per le diverse sensibilità sul tema.

IL REALISMO DEL VIMINALE

Il ministro Luciana Lamorgese resta con i piedi per terra: visto che l’immigrazione è un problema strutturale, “nessuno ha la bacchetta magica” e se il decreto “può essere utile a diminuire i tempi medi”, è difficile dire ora “se saranno di uno o due mesi. Gli effetti si vedranno in prospettiva” e ciò presuppone “che ci siano degli accordi di rimpatri, anche di Polizia per far sì che poi si riesca a farli tornare indietro”. Dunque, “dovremmo riparlarne tra 6 mesi”. Alle critiche di Salvini sull’aumento degli sbarchi, il ministro ha replicato che “non credo che in 20 giorni si sia creato un disastro” per colpa sua visto che “il problema è più complesso”. Quest’anno finora sono stati rimpatriati 5.261 migranti, l’anno scorso furono 6.820 e nel 2017 furono 6.514.

Anche Franco Gabrielli non ha usato metafore. Il capo della Polizia ha detto di non essere d’accordo sulle multe (salate) previste dal decreto sicurezza bis per le ong: la replica della Lega è stata affidata al capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, che ha definito “surreale” quella dichiarazione e si è chiesto se per Gabrielli “le navi private, anche straniere, possano infrangere impunemente le leggi italiane”. Gabrielli parlava delle sanzioni, non dei reati, ma è l’ennesima prova di tensione altissima sull’argomento. Il capo della Polizia ha invece difeso i decreti sicurezza sulla maggiore tutela per le forze dell’ordine nelle manifestazioni: non possono essere dei “punching ball”.

È sull’immigrazione che Gabrielli ha ripetuto concetti noti, ma meno dibattuti a livello politico. Innanzitutto servono “forti accordi con i Paesi di origine” i quali rinuncerebbero a sostanziose rimesse se riprendessero chi vive in Italia; quindi va definita “una modalità di accesso lecita”; infine, il tema dell’integrazione senza la quale ci sono rischi di “illegalità, degrado, criminalità e terrorismo”. Sono i numeri su cui anche i partiti che vorrebbero una maggiore accoglienza dovrebbero riflettere: a fronte di un calo dei reati negli ultimi 10 anni, nel 2016 gli stranieri arrestati erano il 29,2 per cento del totale, nel 2017 il 29,8, nel 2018 arrivarono al 32 per cento, la stessa tendenza di quest’anno. Se gli stranieri presenti in Italia, legali e illegali, rappresentano circa il 12 per cento della popolazione “questo dà la misura del problema” ha concluso Gabrielli.

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