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Tunisia, tutte le sfide del nuovo presidente raccontate da Valori

Con 7 milioni e 883 elettori registrati, con il 49% di donne, con oltre un terzo di votanti con età al di sotto di 35 anni, infine con 385.546 elettori fuori dal territorio nazionale, si sono svolte le elezioni in Tunisia. 217 seggi in lizza: e poi, aggiungiamo, 4871 postazioni elettorali, con 12.000 osservatori internazionali. Le liste erano chiuse, quindi i votanti eleggevano i candidati già scelti dal partito che selezionavano sulla lista.

I seggi in Tunisia oggi sono distribuiti con il criterio con il metodo Hare-Niemeyer, ovvero: i voti di ogni partito vengono distribuiti dividendoli con la quota minima necessaria per conquistare un seggio. Ma, prima, il partito ha la parte di seggi costituita dal numero intero risultante da tale divisione, mentre i seggi rimanenti sono distribuiti in base alla sola grandezza della parte frazionaria del rapporto tra i voti di ogni lista e i 217 seggi disponibili. I candidati sono alternati tra uomo e donna, in 33 zone elettorali multi-membro, oltre a 27 circoscrizioni sul territorio nazionale, oltre a 6 relative ai tunisini all’estero. I sistemi elettorali fanno sempre i risultati.

E non bisogna dimenticare che il movimento del 2011, che ha portato a nuove elezioni dopo la caduta di Zine El Abidine Ben Alì, ha anche scritto una nuova Costituzione. Essenziale per rimanere al potere con la democrazia octroyée dalle manipolazioni, anche jihadiste, degli occidentali. Gli ultimi anni sono stati comunque segnati da una alleanza tra Nidaa Tunes, un partito laico, ed Ennahda, il gruppo politico legato alla frazione tunisina della Fratellanza Musulmana.

Per le candidature a Presidente, la legge tunisina presuppone che ogni concorrente alla carica sia coerente con i valori costituzionali, mostri garanzie finanziarie e, infine, tutti i documenti necessari di sostegno dei partiti e dei gruppi di riferimento e, ovviamente, la dimostrazione di non avere nessuna condanna penale o civile in corso o già scontata. Vediamo allora i candidati che hanno concorso alla gara presidenziale ed elettorale.

Sarà questa la migliore lettura possibile per analizzare la struttura politica interna tunisina. Come è bene ricordare, il 15 settembre 2019 si sono svolte infatti le elezioni presidenziali finali tunisine, che hanno visto due contendenti principali, Kais Saied e Nabil Karoui. 

Ha vinto al secondo turno, il 13 ottobre 2019, proprio il candidato indipendente Kais Saied, davanti al contendente, denominato “populista” dai media occidentali, Nabil Karoui.

Kais Saied, denominato, sempre dai media occidentali, bravissimi a produrre etichette banali, come “conservatore”, è un giurista e un docente di Diritto costituzionale all’Università di Tunisi. Ha ottenuto il 27,5% delle preferenze, con una affluenza di poco superiore al 50% degli aventi diritto al voto.

Una campagna elettorale, la sua, senza fondi pubblici a disposizione, inoltre non ha l’appoggio di nessun partito e ha incentrato la sua campagna elettorale solo e unicamente sulla lotta alla corruzione. Altro tema di Kaid Saied, da non trascurare affatto, è la riforma in senso federalista della normativa amministrativa, fiscale e politica. Fa meraviglia, certo, una soluzione federalista in un Paese piccolo come la Tunisia, ma occorre ricordare che, il 6 maggio 2018, si sono svolte, sulla base della Costituzione del 2014, le elezioni locali per ben 350 municipalità e regioni della Tunisia.

Il frazionamento della rappresentanza era, lo ricordiamo, una vecchia e geniale idea proprio di Habib Bourghiba. La Costituzione del 2014 dedica poi un intero capitolo, il VII, alla struttura del potere locale. E, non dimentichiamolo, il 37,16% dei seggi locali, nelle ultime elezioni del maggio 2018, è stato vinto da persone al di sotto dei 35 anni, con un 29,55% delle presidenze locali ricoperto dalle donne, che hanno il 47,05% di tutti i seggi eletti.

Le liste indipendenti hanno sbancato anche alle elezioni locali. Ecco, in effetti Kais Saied, il vincitore del recentissimo ballottaggio, ha ripetuto a livello nazionale il piccolo miracolo delle elezioni locali del 2018. Ma, è bene ricordarlo, solo il 35,7% dei votanti registrati è andato davvero alle urne. E Nabil Karoui è stato, lo ricordiamo, liberato dalla prigione 48 ore prima delle elezioni, dove sostava dallo scorso 23 agosto. Era stato arrestato con l’accusa di riciclaggio, frode finanziaria e corruzione. Nel primo ballottaggio, però, Karoui aveva ottenuto il 15,6% dei voti, qualificandosi per la scelta finale.

Karoui è il proprietario di Nessma TV e, comunque, a parte il risultato delle elezioni, i suoi beni sono stati congelati e non può espatriare. Addirittura, la sua scarcerazione ha messo in dubbio, dal punto di vista giuridico, la regolarità dell’elezione. Ma sono stati solo i vertici di Ennahda, la frazione politica dei Fratelli Musulmani tunisini, a bollare Saied come “conservatore”.

La delusione dell’elettorato, in linea di principio, riguarda le riforme “mercatiste” e le politiche dette dell’austerità, ma soprattutto la attuale tensione politica e quindi elettorale riguarda la disoccupazione, che è oggi oltre il 15,6% e concentrata soprattutto nelle fasce demografiche (ed elettorali) più giovani. Non dimentichiamo nemmeno l’alto tasso di inflazione, che è il 6,7%.

Che, però, è relativamente stabile. E i prezzi salgono in ogni caso dello 0,6% ogni mese, dato essenziale per esperire l’animo popolare. Il tasso di inflazione, secondo i dati della Banca Mondiale, è stato mediamente, al contrario di quel che si dice on the spot, sui dati giornalieri, solo il 5,3% dal 1963 al 2019, quindi niente di nuovo sotto il sole.
Il tasso di crescita è, per il 2019, dell’1,5%, del tutto confermato dagli ultimi dati. Ma crescerà, secondo il Fondo Monetario, del 2,4% nel 2020 e del 4,4% nel 2024.

C’è stata poi una nuova politica economica, molto elettoralistica, elaborata dal governo tunisino prima delle elezioni. Le basi di tale politica sono, sostanzialmente, il mantenimento di un “sostenibile” deficit di bilancio e quindi di debito estero, con un controllo più attento del tasso di inflazione; e poi con una riforma strutturale della finanza pubblica. L’idea è quella di ridurre il deficit di bilancio fino dal 2019 al 4,9% sul Pil.

Gli ultimi dati sull’inflazione, peraltro ci danno un aumento fino al 7,2%, che è comunque fisiologico, ma che i sedicenti banchieri internazionali leggono come un duro allarme. C’è poi in progetto del governo tunisino, di ridurre la crescita dei salari e degli stipendi al 12% del Pil, ma non manca nemmeno il progetto di aumentare l’età del pensionamento dai 60 ai 65 anni.

Infine, c’è anche il progetto di pensionare, senza sostituirli, migliaia di dipendenti pubblici, fino al 2020, soprattutto quelli con età maggiore dei 55 anni. Ecco, proprio una parte di queste politiche è sotto la lente dell’elettorato. Taglio degli stipendi e cessazione, di fatto, delle assunzioni nel settore pubblico, poi l’aumento del prezzo del carburante, e la ristrutturazione debitoria di cui sopra abbiamo parlato, finanziata, in parte, con un prestito di 3 miliardi di usd, concesso dal Fondo Monetario Internazionale.

Non manca di far discutere nemmeno la questione jihadista. Oltre mille dei foreign fighter tra i 5000-6000 noti è già in carcere a Tunisi. Ci sono anche altri 1600 detenuti, in Tunisia, che sono accusati di appartenere ad organizzazioni jihadiste, anche se non sono andati a combattere all’estero. Infine, ci sono anche circa 2500 militanti jihadisti che sono ancora arroccati nelle montagne ad ovest. E, malgrado le buone politiche anti-jihadiste del governo tunisino, tutti i qaedisti sono ancora lì, al centro di traffici e situazioni che Tunisi, come pure altre capitali maghrebine, non possono pienamente controllare.

E, ancora, il nuovo presidente, che è privo di un partito di sostegno, non sappiamo se avrà la forza di imporsi su un panorama parlamentare alquanto frazionato. Vediamo, infatti, quali erano i principali candidati alla Presidenza, tutti politici di lunghissimo corso. Iniziamo con Mohammed Abbou, candidato del partito socialdemocratico, il “Partito della Corrente Democratica”.

È stato il capo dell’unico vero partito di opposizione durante l’epoca di Ben Alì, il Congresso per la Repubblica. Ministro della Riforma Amministrativa dopo il 2011, abbandona rapidamente l’incarico in polemica con gli altri partiti, che non gli danno spazio.

Poi c’è anche Abir Moussi, candidata del Partito Libero Desturiano, quindi erede de facto della grande tradizione di Bourghiba; e anche di Ben Alì. Gli occidentali, che hanno le etichette facili, la definiscono “populista”, ma è la nemica giurata di Ennahda, il partito dei Fratelli Musulmani, che spesso dichiara di “voler rispedire in prigione”. Abbiamo tra i candidati dell’ultima elezione presidenziale anche Nabil Kharoui, di cui abbiamo già fatto cenno, che è il proprietario di Nessma TV, la rete privata satellitare partecipata di Mediaset e di Quinta Communications, società di Tarak Ben Ammar.

Anche Gheddafi, lo ricordiamo, aveva tentato di essere azionista di Quinta Communications, ma la rivolta del 2011 ha ucciso il colonnello libico e, quindi, bloccato l’operazione in Tunisia. Forte sostenitore del defunto presidente Essebsi, Abir Moussi ha fondato, prima di queste ultime elezioni, il partito Cuore della Tunisia.
Con una forte immagine di “candidata dei poveri”, organizza comunque associazioni caritatevoli in tutto il territorio tunisino, soprattutto nelle aree marginali.
Era comunque in testa ai sondaggi, prima delle elezioni.

Da notare come candidato presidenziale anche Lofti M’Raihi, proposto dall’Union Populaire Républicaine, un partito social-nazionale (ma non nazional-socialista) e uomo politico che concentra i suoi strali soprattutto sulla “corruzione”, proponendo una “democrazia diretta”, anche se non tramite Internet. La piattaforma programmatica, a parte la polemica contro le élite attualmente al potere, è del tipo di quelle che in occidente chiameremmo “riformista”. Non si dimentichi poi neanche Mehdi Jomaa, già capo del governo, nella fase tecnocratica dal gennaio 2015 al febbraio 2015, che fu l’alternativa alla alleanza politica dominata da Ennahda.

È stato anche ministro dell’Industria e del Commercio nel governo della trojka tra il 2011 e il 2013. Fu una alleanza, la Trojka, tra Ennahda, il Forum Democratico per il Lavoro e le Libertà, Ettakatol, forte ormai solo a Kasserine, e infine il Congresso per la Repubblica. Oggi Mehdi Jomaa è candidato di Badil Ettounsi, un partito liberal-repubblicano con tendenze laiche e conservatrici. E, ancora, tra i numerosi candidati troviamo, sempre per chiarire meglio il panorama politico tunisino, un candidato alla Presidenza come Hamma Hammami, leader del Fronte Popolare, un cartello di piccoli partiti di sinistra.

Tra i vecchi capi dell’opposizione a Bourghiba e a Ben Ali, è stato molto popolare durante la rivolta del 2011, ma egli ritiene che Ennahda abbia anche a disposizione un apparato coperto, che pure collabora con il “regime”. Gli attuali governanti sarebbero, poi, dei semplici “agenti stranieri”. Non dobbiamo nemmeno dimenticare, sempre tra i candidati che hanno perso, Mohammed Moncef Marzouki, già presidente della Tunisia, per scelta parlamentare, ai tempi dell’Assemblea Costituente, dal 2011 al 2014.
Contro il solo Essebsi, nelle precedenti elezioni, ha raggiunto il 44% del totale dei voti.

Ha all’attivo anche una lunga storia di opposizione contro Bourghiba e Ben Alì, e anche un attivista dei diritti umani; ed è stato candidato in questo frangente dal Congresso del Partito Repubblicano, poi detto Al Irada, e oggi si è presentato, con una nuova lista, come leader della nuovissima “Alleanza per un’Altra Tunisia”.

Critico, da presidente, del regime siriano di Assad e sempre in polemica contro i leader egiziani, ha duramente lottato contro Essebsi, ma anche lui accusa, come chiave della sua campagna elettorale, la corruzione universale e la manipolazione mediatica a favore del regime. E non dimentichiamoci nemmeno di Abdelkarim Zbidi, già ministro della Difesa, erede di Essebsi. Medico, è stato ministro della Difesa nei governi del 2011-2013 e del 2016-2019. Nemico acerrimo, anche lui, di Ennahda e dei Fratelli Musulmani.

Abdelfattah Mourou è invece il candidato proprio di Ennahda, ma oggi presidente del parlamento, è tradizionalista ma con la fama diffusa di “moderato” e “tollerante”. Sostiene l’Islam democratico e pluralista, ha comunque un indubbio prestigio personale, sia nelle masse che tra la classe politica in tutte le sue fazioni.

Ha ancora un ritratto di Habib Bourghiba in casa sua, così ha dichiarato alla stampa tunisina. E abbiamo ancora tra i candidati alla presidenza tunisina Youssef Chahed, già capo del governo nell’esecutivo di unità nazionale dal 27 agosto 2016, con il ruolo di ministro per lo sviluppo locale.

Già membro del succitato Partito Repubblicano, poi di Nidaa Tunes, il Movimento per l’Appello alla Tunisia, che è il gruppo politico fondato da Essebsi. Oggi è presidente onorario del partito Tahya Tunes, “Viva la Tunisia”. Combattente, anche lui, contro la corruzione, ha avuto però qualche accusa riguardante il mettere in pratica, per sé, quello di cui accusava gli avversari.

Tra le donne, vi è stata come candidata presidenziale Selma Elloumi Rekik, candidata di Amal Tounes, già dirigente, però, di Nidaa Tunes. È già stata ministro nel governo di Habib Essid (2015-2016) ma è fortemente legata alla tradizione, anch’essa, di Essebsi, con una esperienza, seria, di difesa dei diritti delle donne.

Da non dimenticare poi, per rappresentare la dinamica politica tunisina, il candidato Ahmed Safi Saïd, che è candidato alle presidenziali per la seconda volta, oggi come indipendente. È sostenuto dal Movimento del Popolo, una forma moderna di nazionalismo arabo nasserista.

Di raffinata e solida preparazione culturale, anche occidentale, Safi Saied gioca molto sul voto giovanile, con una idea di Tunisia come potenza regionale intermedia, ma decisiva, tra i vari player maghrebini. Vuole anche rafforzare i Servizi, asse veritiero di ogni Paese moderno. Manifesta inoltre una ideologia contraria a quello che oggi si definisce, confusamente, neo-liberismo; e vuole una società tunisina meglio militarizzata e adatta alle sfide, sia pur regionali, della post-modernità.

Abbiamo anche Abid Bikri, candidato presidenziale della Unione Social-Democratica, ma segretario attuale del movimento Tunisie En-Avant. È stato un alto dirigente dei sindacati tunisini, poi è stato anche ministro della Funzione Pubblica e della Gestione Amministrativa, nel governo di unità nazionale del 2016-2017. Altra polemica, ormai ovvia, contro la corruzione, nemico giurato di Chayed. Ancora un candidato, Chayed, che si scontra con l’”apparato occulto di Ennahda”, che pure esiste. Ha un interesse particolare per la risoluzione della situazione in Libia.

Ecco, il frazionismo del panorama politico tunisino è la spiegazione a posteriori delle rivolte del 2011.

 


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