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Verso il partito di Conte? Pregi e difetti del nuovo centro secondo Cazzullo

“Noi italiani col potere abbiamo un rapporto poco maturo: il leader non viene criticato o sostenuto, ma blandito o abbattuto”. Lo confessa a Formiche.net la firma del Corriere della Sera Aldo Cazzullo. Questo il punto di partenza (o di sintesi) del ragionamento che il giornalista e scrittore piemontese, in questi giorni in libreria col giallo “Peccati Immortali” (Mondadori) scritto a quattro mani con Fabrizio Roncone, struttura per scomporre e analizzare il ruolo del premier Giuseppe Conte, soprattutto dopo la pazza crisi politica agostana e con all’orizzonte una nuova possibile “Dc a cinquestelle”.

Verso il partito di Conte? All’orizzonte una nuova Dc a cinquestelle?

Penso che non si possa parlare di nuova Dc, nel senso che siamo spesso alla ricerca di un passato che non torna. Quello era un partito di sistema, condannato a governare, con al suo interno una sinistra, un centro e una destra. Era un partito che assomigliava agli italiani, maternalista, che teneva assieme tutto, con un’attitudine alla mediazione. Ma poi c’è stata l’era di Berlusconi, che ha definito due schieramenti: con lui o contro di lui. Infine col declino del Cavaliere, si pensava che il partito di sistema dovesse diventare il Pd e per certi versi lo è stato.

In che senso?

Anche se non ha avuto i voti della Dc, è andato al dialogo con l’Europa, rappresenta il punto di riferimento per il sistema internazionale, considerato affidabile e che si presume che abbia una classe dirigente competente. Macron e Merkel si fidano, insomma. Adesso che col M5S non c’è più la Lega ma il Pd, le fibrillazioni sui mercati e con l’Ue sembrano sedate, anche se i conti pubblici sono sempre quelli di prima. I Cinquestelle sono un’altra cosa.

Ovvero?

Nati cercando voti a destra e a sinistra, tra i delusi di Berlusconi e del Pd, oltre tra gli arrabbiati. E poi sono diventati un’altra cosa. Penso che i voti di destra siano andati alla Lega, assieme a molti voti popolari che non sono neanche passati dal Pd. Inoltre il M5S ha una forte impronta meridionale come dimostra la misura assistenzialistica del reddito di cittadinanza. Si tratta adesso di capire se Conte sarà o meno il capo del M5S, se potrà pensare di diventare il punto di riferimento di questo schieramento largo che arriva fino al Pd. Non so se punterà a fare un suo partito: di solito in questi casi durano fino a quando il fondatore è premier, come accaduto a Dini e Monti. Attenzione però a non confondere il tasso di approvazione con il consenso reale: ad esempio Gentiloni era abbastanza apprezzato perché non era Renzi, però poi se si fosse presentato nel 2018 al posto del senatore di Rignano, per il Pd non sarebbe cambiato nulla.

Santa Sede, Bruxelles, Washington: era da tempo che non si vedeva una unità di intenti così compatta attorno ad un premier italiano?

Oppure una contrarietà comune verso un altro soggetto, come Matteo Salvini. La Chiesa di Francesco ha messo i migranti al centro del suo Pontificato mentre Salvini li ha messi al centro della sua propaganda. Salvini è nemico dichiarato di Merkel e Macron, mentre è amico dichiarato di Orban e Le Pen: per la prima volta i populisti anti europei sono andati al governo di un grande Paese anche fondatore dell’Ue, ed era ovvio che Salvini sarebbe stato percepito come una anomalia. Infine gli Usa, dove la cosa è meno scontata perché il leghista avrebbe anche potuto avere delle sintonie con Trump ma poi la mia impressione è che abbia un po’pasticciato fra Putin e Trump. E questo alla lunga ha disorientato probabilmente il suo interlocutore. Magari poi Conte è riuscito a farsi garante con Washington su dossier chiave, come il 5G e il Tap. Ma penso che non sia neanche il caso di fare troppe dietrologie: Trump è uno che decide di istinto, compreso il suo tweet a “Giuseppi”.

Dopo la crisi agostana, e anche durante, come crede sia mutato il ruolo del premier? Ha maturato nuove consapevolezze?

Devo dire che noi lo abbiamo un po’ sottovalutato all’inizio. Sembrava uno che avesse vinto alla lotteria, e invece è stato molto abile nell’essere mediatore tra quasi leaders. Ha capito che la via di Salvini era sbarrata, anche perché il leghista aveva addirittura aperto a Di Maio premier: una mossa un po’ scomposta. A quel punto ha cambiato lo schema di gioco, per lavorare col Pd e il duo Zingaretti-Renzi è stato quasi costretto ad accettarlo.

In “Peccati immortali” (Mondadori), il nuovo romanzo giallo scritto a quattro mani con Fabrizio Roncone, si raccontano gli abissi di Roma e una accanita vendetta in uno scenario con già fatto il governo Pd-M5S. Che rapporto col potere emerge?

Abbiamo iniziato a scriverlo nell’estate 2017 e terminato nel giugno 2019, con già in quelle pagine il partito di Renzi che immaginavamo, erroneamente, si chiamasse Avanti!, come il suo libro. La politica diciamo che ha un po’accelerato i tempi, rispetto alle nostre previsioni. Poi si immagina più avanti che Renzi voti assieme a Salvini, contro il governo, che però si salva per una manciata di voti. In sostanza “Peccati immortali” è un libro sul potere, che spesso è spietato e invisibile perché i potenti non sono quelli che vediamo in tv. Noi italiani col potere abbiamo un rapporto poco maturo: il leader non viene criticato o sostenuto, ma blandito o abbattuto. E alla fine la politica non credo sia sempre sangue e merda, ma una partita a scacchi.

twitter@FDepalo

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