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5G, se Agcom mette Cina e Stati Uniti sullo stesso piano. Incredibile ma vero!

Di Mattia Soldi

“Dobbiamo solo scegliere se essere spiati dagli statunitensi o dai cinesi”. A dirlo è il presidente di Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) Angelo Marcello Cardani.

In un’audizione alla commissione Trasporti della Camera, l’ex braccio destro di Mario Monti alla Commissione Ue, ormai in scadenza di mandato alla guida dell’autorità, ha risposto così ai parlamentari che gli chiedevano come risolvere il problema della sicurezza della rete 5G. “Credo che sia un problema sostanzialmente insolubile” ha chiosato. Dopotutto, è la sua tesi, meglio rassegnarsi all’idea di essere spiati. Che sia la Cina o gli Stati Uniti cambia poco, in fondo, “questo è un mercato internazionale e il nostro Paese non ha le capacità di farsi isola e operare da solo”.

Parole che sorprendono soprattutto perché provengono da un’autorità pubblica. Fare di Cina e Stati Uniti un unico fascio quando si parla di infrastrutture sensibili è un azzardo. L’invito ad accettare pacificamente di venire controllati dall’estero da chi ricopre il ruolo di “garante delle comunicazioni” è poi il colmo.

L’Agcom è membro di primo piano dell’Erga (European Regulators Group for Audiovisual Media Services), il gruppo che consiglia la Commissione Ue sulle direttive in materia. La quale Commissione ha da poco pubblicato un esaustivo rapporto su sicurezza e 5G sottoscritto da 28 Paesi Ue in cui la differenza fra “essere spiati dagli statunitensi o dai cinesi” è spiegata alla perfezione, col tono diplomatico che conviene a un simile documento.

Rompendo mesi di indugi, l’organo esecutivo dell’Ue ha messo in guardia gli Stati membri dall’affidare la rete 5G ad aziende che presentino “un forte legame” con Stati “dove non ci sono controlli legislativi o democratici né altri equilibri”, perché il rischio, tanto più se si mette in mano la banda larga a un singolo fornitore, è quello di finire sotto “una prolungata pressione di mercato, che sia dovuta a un fallimento commerciale, o a una fusione o acquisizione forzata o alla sottoposizione a sanzioni”. Riferimenti, hanno concluso schiere di analisti che hanno visionato il documento, certamente indirizzati al governo cinese, il cui modus operandi coincide in pieno con quello descritto.

“I servizi inglesi ritengono di potersi fidare” ha aggiunto Cardani in audizione, con un rimando non velato al via libera del Regno Unito alla partecipazione di Huawei e altre aziende cinesi ai bandi per costruire la rete 5G. Peccato che Londra si occupi da dieci anni del dossier, tanto che oltremanica Huawei è stata costretta a mettere in piedi il Cyber Security Evaluation Center dove lavora a stretto giro con tecnici del governo e con gli stessi Servizi.

I Servizi italiani, invece, l’allerta cinese sulla sicurezza del 5G l’hanno lanciata da anni. E, a giudicare dai rapporti del Dis (Dipartimento per l’informazione e la sicurezza) susseguitesi nell’ultimo decennio, essere “spiati dai cinesi o dagli statunitensi” non è esattamente la stessa cosa. Tant’è che i campanelli d’allarme degli 007 italiani sono sempre suonati nei confronti di Huawei, azienda ritenuta alle dipendenze del governo comunista cinese e accusata da decine di report dei servizi di intelligence occidentali di spionaggio industriale. Quando l’Agcom mette sullo stesso piano Cina e Stati Uniti è bene ricordare che è un’autorità indipendente, dalla Commissione Ue, e anche dal Dis. Ma non dal buonsenso.

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