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Il Mes non sia una trappola per nuova austerity. Parla Agea (M5S)

Ben venga uno strumento in grado di evitare crisi sistemiche nell’Eurozona. Ma se il prezzo del suo aiuto è troppo alto, allora fermi tutti. Laura Agea, sottosegretario agli Affari Europei in quota M5S, l’Europa e le sue regole le conosce bene, visto che prima di approdare a settembre nel governo, è stata europarlamentare per cinque anni. E proprio all’esponente grillina di Narni, luogo della famosa foto con Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, Formiche.net ha chiesto un parere sul Mes, il Meccanismo di stabilità Ue che ha aperto un nuovo, l’ennesimo, fronte nella maggioranza. Da una parte i timori delle banche e dei risparmiatori, preoccupati di veder i propri titoli di debito deprezzati in caso di ristrutturazione del debito. Dall’altra le rassicurazioni del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, per il quale il Mes non è nocivo, ma molto molto utile.

Sottosegretario, in questi giorni si parla della riforma del Mes, il Meccanismo europeo per la stabilità. Il Movimento 5 Stelle ha chiesto e ottenuto per domani una verifica all’interno della maggioranza. Normale dialettica o incidente di percorso?

Gli incidenti nascono se non c’è verifica e se non ci si parla. È emersa la necessità di un chiarimento sul tema, considerando il fatto che già a giugno c’erano state forti riserve sulla riforma del Mes. In questo senso, al netto delle polemiche, la posizione del M5S è rimasta coerente, nonostante il cambio di maggioranza. In sintesi siamo contrari a dare al Mes compiti di sorveglianza macroeconomica sui Paesi membri, perché tali compiti sono già esercitati dalla Commissione europea.

Che cosa rischia il Paese e la sua economia?

Il rischio è che il Mes diventi una sorta di Fmi comunitario. Intendiamoci, non è in discussione la sua utilità, ma la sua trasparenza e democraticità. Se il nuovo strumento è pensato per concedere aiuti solo a condizione di applicare politiche di austerity e tagli lineari, non ci siamo. Sono ricette non funzionano, non possono essere soggette ad automatismi.

L’Italia è un Paese che vive di risparmio e il risparmio è anche debito pubblico, visto che molte famiglie investono in titoli di Stato. Una riforma del Mes con il criterio della ristrutturazione del debito sovrano, rappresenta, secondo molti osservatori, una minaccia. Le chiedo se secondo lei è davvero così e se sì, non crede che questo tipo di scelte possano allontanare i cittadini dalla stessa Ue?

Attenzione, bisogna chiarire una cosa. Il Movimento 5 Stelle non ha mai fatto l’elogio del debito. Tuttavia la responsabilità di ridurlo è e deve rimanere politica. Scegliere gli strumenti da utilizzare, dove tagliare, come farlo, devono essere decisioni politiche. Non possiamo immaginare che tutto ciò avvenga in base ad un ‘meccanismo’. Non esistono procedure neutre, bisogna calarsi nella realtà di ogni singolo Stato membro. Bisogna dare prova di ragionevolezza e rispetto, non solo dei parametri generali, ma soprattutto degli equilibri all’interno dei sistemi produttivi di ciascun Paese.

E dunque?

Per rispondere dunque alla sua domanda, l’Europa non perde la fiducia dei cittadini se si concentra sulle giuste priorità: lotta alla disoccupazione, estensione dei diritti civili e sociali, sostegno alle proprie imprese e tutela dell’ambiente. L’Europa di cui ci fidiamo è quella che ci fa stare meglio, non peggio.

In tal proposito, sottosegretario Agea, il nuovo governo comunitario, a guida Von der Leyen, è ormai quasi operativo. Che cosa cambierà per l’Italia e i suoi rapporti con l’Europa, non sempre idilliaci in questi ultimi anni?

Per l’Italia potrebbe cambiare molto: su salario minimo europeo, investimenti green, riforma del patto di stabilità e ricollocamento obbligatorio dei migranti sono state fatte grandi promesse. Uso il condizionale perché vogliamo prima vedere questi provvedimenti messi nero su bianco. Il Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo ha votato la fiducia alla Von der Leyen, ma non darà nessuna cambiale in bianco alla nuova Commissione. Dall’Europa ci aspettiamo finalmente politiche coraggiose.

C’è da dire che il nostro Paese è stato visto più volte, soprattutto dai governi del Nord Europa propugnatori del rigore a oltranza, come un pericolo per l’Unione stessa. Come correggere questa evidente distorsione storica?

L’Italia è un grande Paese e a Bruxelles deve andare a testa alta. Noi diamo un enorme contributo all’economia europea, per questo dobbiamo tornare a far valere le nostre idee e il nostro punto di vista. Il vero pericolo per l’Unione europea sono i suoi paradisi fiscali, che drenano risorse ai Paesi del Sud, Italia compresa. Dannose per l’Unione europea sono le dogane colabrodo che fanno entrare nel mercato unico merci false e contraffatte, che fanno concorrenza sleale al Made in Italy. Smettiamola di piangerci sempre addosso e pensiamo che siamo un pilastro indispensabile di ogni organizzazione internazionale, Ue compresa. Così superiamo l’ingiusta narrativa del fanalino di coda.

Volendo ragionare su scala globale, il Vecchio Continente si trova sempre più stritolato dallo scontro titanico Usa-Cina. Come riuscire a sopravvivere nella lotta tra due economie così forti ma così diverse?

Facendo sintesi nella definizione dei suoi interessi, l’Europa non deve penalizzare le legittime istanze di ciascun Stato membro. Il primo banco di prova di questa saranno i settori chiave della ricerca e delle tecnologie emergenti. L’Europa deve guidare una transizione digitale sicura che sappia promuovere una società inclusiva, equa ed eticamente responsabile. Solo così potrà ritrovare la sua anima di guida del mondo.

Non possiamo certo ignorare che l’Europa rappresenta oggi il più grande spazio di mercato libero al mondo, con mezzo miliardo di consumatori. Una conquista faticosa, non immune da sfide e minacce. Secondo lei quali sono le più pericolose?

La minaccia più grande è sicuramente quella ai diritti sociali. Con le leggi della globalizzazione una multinazionale può comprare una azienda, sei mesi dopo la porta al fallimento, licenzia tutti i lavoratori o poi sposta le produzioni altrove dove il costo del lavoro è più basso. La vicenda dell’Arcelor Mittal è emblematica. Se L’Europa è in grado di difendere le conquiste sociali raggiunte negli ultimi 30 anni e anzi, estenderle ad altri Paesi con i quali commercia, allora saremo tutti più orgogliosi di questa nostra casa comune.

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