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Così una pioggia di missili palestinesi sta offuscando i cieli di Israele

Da questa mattina presto, Israele è sotto attacco da Gaza. Diverse aree dello Stato ebraico sono state colpite da una fitta pioggia di missili, in parte intercettati, altri finiti su bersagli sparsi senza produrre troppi danni (per il momento).

Sono razzi in larga misura artigianali, prodotti nella Striscia attraverso materiale contrabbandato tramite la rete intricata di tunnel sotterranei. L’assemblaggio locale è aiutato da partner come l’Iran, nemico giurato dello stato ebraico, che ha permesso ai palestinesi di ottenere conoscenze e pezzi necessari al montaggio delle armi. Di solito volano per pochi chilometri e sono tutt’altro che precisi. Uno per esempio è arrivato fino Rishon Lezion, che si trova al centro di Israele (e dunque ha volato più del previsto) ed è caduto nel giardino di una casa. Altro sono caduti per strada, tra le macchine, e solo per casualità non hanno ucciso nessuno. 

Questo genere di attacchi serve a dimostrare che gli israeliani non devono vivere tranquilli. In ogni momento i gruppi combattenti palestinesi potrebbero decidere di colpire, senza preavviso. Nonostante la continua raccolta di intelligence su cui Israele è impegnata, i razzi sono facilmente trasportabili e facili da nascondere in un territorio ostile. Sono difficili da individuare tutti. Oltretutto, quello che stiamo vedendo sui cieli israeliani contemporaneamente alla stesura di questo articolo racconta molto di una delle principali preoccupazioni di Gerusalemme: la saturazione.

Gli strateghi della Difesa israeliana temono che attacchi missilistici congiunti possano saturare i cieli e rendere i sistemi di intercettazione non efficace. L’Iron Dome, lo scudo aereo d’Israele, ha la capacità di individuare con altissima efficienza bersagli multipli (come visto oggi: e solo per questo il numero dei civili colpiti è ridotto al minimo). Ma fino a un certo numero. Gli altri passano. E gli attacchi potrebbero arrivare da Gaza, come dalla Cisgiordania e dal Libano – luoghi in cui si trovano gruppi anche in competizione tra loro, ma tutti collegati da due elementi: il primo è l’odio per gli ebrei, il secondo il collegamento con l’Iran.

Se si volesse cercare un casus belli per i bombardamenti di oggi (al di là dei due punti appena espressi, s’intende, che rendono tutto una buona occasione per colpire gli ebrei. ndr) si dovrebbe parlare dell’eliminazione del leader militare della Jihad Islamica Palestinese, Pij, Abu al-Ata. Il comandante è stato eliminato in un attacco aereo a Gaza lunedì notte. Un raid di precisione. Un missile l’ha colpito nella sua casa, uccidendo anche la moglie. Uno statement dell’esercito israeliano lo ha definito “una bomba a orologeria”, lo ha accusata di essere il coordinatore di vari attacchi missilistici negli ultimi anni e di operazioni di cecchinaggio oltre la Striscia, sul territorio ebraico.

Secondo quanto riportato dall’Idf, stava preparando attentati contro Israele “nei prossimi giorni”, e la sua uccisione è stata “un atto diretto per rimuovere la minaccia che rappresentava”. A vedere quanto succede oggi si pensa o a una rappresaglia organizzata rapidamente – e dunque questo diventa un elemento in più per valutare rapidità e capacità operative dei nemici israeliani –  o allo svolgersi del piano di al-Ata. Le fazioni armate palestinesi a Gaza hanno diramato un comunicato congiunto in cui sostengono che Israele “ha passato tutte le linee rosse” assassinando il comandante del Pij”, promettendo di “cambiare le regole del gioco del conflitto”.

Israele conduce spesso questo genere di operazioni di prevenzione, di solito non killing mission dirette (non se ne registrano dal 2014, mente anni fa erano una specialità della casa). Per esempio in Siria. Da anni colpisce gli scambi di armi tra iraniani e milizie sciite collegate per evitare che poi quelle armi vengano usate contro lo stato ebraico. Quello che invece vorrebbero Teheran e i suoi proxy come Hezbollah o la Jihad islamica.

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