Sotto la pressione degli Accordi di Basilea 2 e 3, tutti i grandi gruppi bancari italiani hanno progressivamente adottato complessi sistemi di rating interni al fine di erogare il credito alle aziende all’interno di un “corridoio” delimitato da regole più oggettive. Anzi, la Vigilanza ha preteso che questi rating interni, una volta adottati, non intervenissero solo nella concessione del credito, ma incidessero anche sugli altri gangli vitali del rapporto banca – impresa quali le politiche commerciali, il pricing, i poteri di delibera e l’accessibilità ai diversi prodotti.
Ma il punto su cui concentrare l’attenzione è che questo ampio utilizzo di sistemi di rating e di scoring, da parte degli istituti non rende affatto superfluo, come spesso ritenuto, il mantenimento di uno stretto collegamento con la clientela impresa. Al contrario, non andrebbe mai trascurata la regola aurea che ci rammenta che più si adottano meccanismi automatici di valutazione e più deve essere profondo e continuativo il rapporto di conoscenza tra questi due soggetti.
Infatti, è vero che i sistemi di rating elaborati dalla banca e validati dalla Vigilanza riescono statisticamente a comprendere la rischiosità dei soggetti sotto esame, tuttavia, trattandosi di macchine, potrebbero essere tratti in inganno in presenza di situazioni peculiari. Ad esempio, un elevato numero di banche che chiede, in un arco temporale ristretto, alla Centrale Rischi di Banca d’Italia una “prima informazione” su una azienda può allarmare il rating. Infatti, “il numeretto” non può escludere che l’azienda, in difficoltà finanziaria, stia facendo il giro delle “sette banche” (fenomeno dello shopping around) alla ricerca di nuovi istituti e di nuova liquidità.
Tuttavia, la conoscenza dell’azienda potrebbe invece raccontarci un’altra verità: la nostra l’azienda, per nulla in crisi asfittica, si è aggiudicata una importante commessa sull’estero ed ha di conseguenza bisogno di nuove controparti bancarie più attive oltre frontiera e ben radicate nel Paese dove è stata acquisita la commessa stessa. Dunque, senza una presenza umana, i “motori intelligenti”, lasciati senza guinzaglio, potrebbero anche imboccare una “falsa pista”.
E allora, nell’attuale scenario, due ruoli vanno acquisendo sempre maggiore importanza nel delicato rapporto banca-impresa: il gestore della relazione, lato banca, e quello che si potrebbe definire l’uomo-rating dal lato dell’impresa. Più in particolare, il gestore della relazione dovrà: 1) conoscere bene le controparti aziendali inserite nel proprio portafoglio. Infatti, in assenza di questa conoscenza, il gestore non potrà fronteggiare eventuali criticità con adeguate contromisure. Ad esempio, in casi prestabiliti, potrebbe anche attivare un processo di “override” attraverso il quale proporre al rating desk la modifica migliorativa del rating attribuito dal modello. 2) dialogare costantemente con l’uomo – rating dell’azienda per evidenziargli tutti quei comportamenti che, ancorché spesso non percepiti come pericolosi dall’imprenditore, possono invece allarmare il rating deteriorando il rapporto con la banca.
Da parte sua l’uomo-rating, grazie alle indicazioni del gestore della relazione, dovrà: 1) comprendere appieno i meccanismi che influenzano il rating; 2) attivare tutti gli interventi necessari a neutralizzare quei comportamenti che, agendo sul rating, possono esporre l’azienda a maggiori oneri e limitare l’accesso al credito. Comportamenti, tra l’altro, spesso facilmente correggibili; 3) fornire alla banca un flusso di informazioni continuo ed adeguato indispensabile all’ottimizzare del rapporto banca-impresa.
Oltretutto, poiché le banche baseranno sempre di più l’analisi delle aziende sui flussi di cassa prospettici, le informazioni sul settore di appartenenza, sui programmi di investimento, sul portafoglio commesse saranno sempre più necessarie per accedere al credito bancario. Ma l’importanza del descritto dialogo tra gestore della relazione e uomo – rating risulta ancora più evidente se si osserva come il rating prende forma. Considerando una Pmi, i dati relativi all’area dell’“andamentale interno” arrivano a pesare anche per un 70% sulla formazione del rating, sovrastando così i dati di bilancio e della Centrale Rischi. Si tratta dell’area dove il rating cerca di capire cosa accade all’interno del rapporto quotidiano che intercorre tra banca e impresa. Qui il rating, ad esempio, controlla il corretto utilizzo delle linee di cassa (sconfinamenti, utilizzo a tappo dei fidi concessi etc) e delle linee autoliquidanti (anticipo fatture e ricevute bancarie RIBA). Ed è facile intuire che è proprio qui che la presenza dell’uomo-rating diventa preziosa.
Nell’ambito di numerosi incontri con Confindustrie del Nord, è emersa una chiara differenza tra le aziende che si sono dotate di un uomo rating, adeguatamente formato, in grado di affrontare le problematiche sin qui descritte rispetto alle aziende che non hanno ancora ravvisato questa necessità. Ovviamente, a seconda delle dimensioni aziendali si potrà individuare una risorsa specifica per marcare “a uomo” il rating, oppure attribuire la descritta mission a chi già segue i rapporti con le banche. La cosa fondamentale è che l’imprenditore si convinca che è molto meglio organizzarsi per gestire “il numeretto” piuttosto che fare lo struzzo e nascondere la testa sotto la sabbia. Anche perché il rating ti vede lo stesso.