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Mes, 5G e Cina. La versione di Castaldo (M5S)

Tre sono le criticità sul Mes, sulle clausole di accesso al fondo, sullo spostamento della valutazione da un organo prettamente politico (la Commissione) a uno puramente tecnico (lo stesso Mes) e il passaggio alla votazione unica sulla ristrutturazione del debito, che potrebbe aprire le porte alla speculazione mettendo a rischio i Paesi che, paradossalmente, all’Europa stanno chiedendo aiuto. Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento europeo in quota 5 Stelle è un fiume in piena sulla riforma del Mes, in discussione in queste settimane. Ma non solo. I rapporti di M5S con la Cina? “La Germania in questi decenni ha sviluppato delle relazioni fortissime con la Cina, eppure non ci sono state polemiche”, e ancora sul futuro della forza guidata da Luigi Di Maio: “Penso che debba essere operata una profonda riflessione e ristrutturazione a prescindere dai risultati delle prossime elezioni regionali”.

Partiamo dalla famigerata riforma del Mes: qual è il nodo principale da sciogliere per M5S e come farlo?

Come è ben noto già in passato abbiamo avanzato critiche al funzionamento del Mes, per evidenti problemi sia di politiche di austerity di condizionalità imposte agli Stati, in particolarità penso all’approccio della Troika sulla Grecia che ha inasprito le diseguaglianze all’interno del Paese, con un costo della crisi scaricato sulle fasce più deboli, aspetto che per noi non è accettabile. Detto questo, l’attuale proposta di revisione deve essere analizzata con grande cautela, perché ha una serie di criticità che si possono riassumere in tre punti.

Il primo?

Il primo sono i due meccanismi che attiveranno, in futuro, il fondo. Vengono modificate le condizioni per poter accedere al Pccl (Linea di credito condizionale precauzionale) che sarebbe un sistema creato per aiutare i Paesi in caso di turbolenza all’interno del mercato del debito in un Paese appartenente all’eurozona. Ecco, le condizioni per accedere al Pccl sono, a nostro giudizio, un po’ controverse.

Per quale motivo?

Perché si toglie la necessità di avere un “memorandum of understandig”, il famoso memorandum di cui si parlò anche per il caso greco, ma vengono inseriti nuovi paletti – non essere in procedura di infrazione, avere un deficit inferiore al 3% da almeno 2 anni e avere un rapporto deficit pil sotto il 60% o avere sperimentato una riduzione di quest’ultimo di almeno un ventesimo negli ultimi due anni – che ci lasciano pensare che si stia creando un meccanismo per aiutare quei Paesi che in realtà non hanno bisogno di essere aiutati.

Cioè, se si rispettano queste condizioni, non c’è necessità di accedere al fondo?

Esatto. Se si rientra in questi parametri, molto probabilmente non c’è vera necessità di fare richiesta al Mes. Sembra quindi uno strumento ideato per chi non ne ha bisogno, senza contare il taglio di un ventesimo l’anno del debito pubblico, per due anni, per i Paesi che hanno un debito come il nostro. Si parlerebbe, nel caso dell’Italia, di 115 miliardi di euro l’anno, una enormità, un costo insostenibile per le famiglie e per le imprese.

La seconda preoccupazione?

Il secondo punto su cui siamo perplessi è la governance e il riequilibrio dei poteri. L’asse si sposta infatti dalla Commissione, che ha sempre avuto un ruolo peculiare, a un rafforzamento dei poteri e delle competenze della governance del Mes stesso. Questo vuol dire spostare questo tipo di competenze da un organo politico a un organo, invece, più tecnico, burocratico e tecnocratico. Per noi è fondamentale un saldo controllo operato da parte del Parlamento europeo, unico organo elettivo, che ha un rapporto fiduciario con la commissione e che non avrebbe invece nessuna voce in capitolo sulle scelte del Mes. Il terzo punto, poi, riguarda il superamento della doppia maggioranza per la ristrutturazione del debito che passerebbe alla maggioranza singola.

Quali sono le criticità, in questo caso?

Il criterio della doppia maggioranza prevede che quando si fanno ristrutturazioni si debba trovare l’accordo con la maggioranza di tutti i creditori e con la maggioranza di ogni sottocategoria, mentre in futuro si tratterebbe solo l’accordo con la maggioranza dei creditori senza guardare le singole categorie.

Una semplificazione…

Apparentemente sì, ma alcuni insigni osservatori hanno sottolineato che questo potrebbe spingere i mercati a ritenere che ci sia il rischio concreto di qualche ristrutturazione imminente, e quindi alimentare possibili attacchi speculativi. Ecco, questi tre punti sono per noi critici e necessitano di un approfondimento molto importante e di cautela assoluta, prima di impegnare il nostro Paese in questa direzione.

Il fatto che la riforma passi da tre organismi (Bce, Commissione Ue e Mes stesso) guidati da politici di Francia e Germania deve preoccupare l’Italia?

L’Italia deve essere sempre essere vigile per difendere il nostro sistema-Paese. Usciamo da un periodo in cui l’Italia ha ricoperto incarichi importanti, Mario Draghi alla Bce, Federica Mogherini Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Antonio Tajani presidente del Parlamento europeo sostituito dal presidente Sassoli, ma l’attenzione deve essere sempre alta, anche rispetto agli incarichi nelle agenzie e nelle varie direzioni generali della Commissione, del Consiglio e del Parlamento. Gli incarichi affidati agli italiani sono sempre meno e questo è un segnale preoccupante, soprattutto se si vuole evitare che ci sia uno sbilanciamento geografico dell’Unione troppo marcato in direzione dell’asse franco-tedesco, ma anche di qualsiasi altra configurazione geografica. Serve equilibrio e una vera sintesi delle sensibilità. E sul Mes vorrei aggiungere un ultima cosa.

Prego.

Trovo molto importante che il premier Giuseppe Conte abbia già preteso che non ci sia, nella bozza di riforma, alcuna forma di ristrutturazione automatica e quindi alcun meccanismo di intervento automatico che porti a una ristrutturazione, che a mio giudizio sarebbe fortemente lesivo anche della sovranità e della legittima necessità di ogni Stato di poter decidere se e quando farne uso.

A tal proposito, si è parlato di rinviare il dibattito e di una sua possibile parlamentarizzazione. Crede sia necessario?

Credo che la centralità del Parlamento sia sempre un fatto positivo, tanto più su argomenti di grande rilevanza e interesse pubblico. Non vedo mai con sfavore l’allargamento della discussione. Il rinvio sarà da valutare anche alla luce dell’eventuale confronto in sede parlamentare, che avrebbe necessariamente le sue tempistiche. Queste discussioni sono fondamentali anche per evitare che alcune forze politiche strumentalizzino le questioni, come i punti nodali che ho sottolineato in precedenza, ma non bisogna trasformare la discussione da un piano tecnico e politico a un piano di comunicazione folkloristica che estremizza i temi alla ricerca del consenso.

Passiamo invece ai rapporti con la Cina. Beppe Grillo ha incontrato negli scorsi giorni l’ambasciatore cinese in Italia. Come leggere questo incontro, alla luce delle proteste di Hong Kong e alla carenza di diritti civili nel Paese?

Personalmente, in quanto vicepresidente del Parlamento europeo che ha il portafoglio dei Diritti umani e della Democrazia al Parlamento europeo sono sempre stato netto nel condannare il comportamento delle autorità cinesi nello Xinjiang e nei confronti della minoranza degli Uiguri e così ho condannato la repressione sempre più evidente ad Hong Kong. Detto questo, non significa che si debba interrompere ogni forma di confronto diplomatico e di relazione. L’Italia ha detto di voler rafforzare la partnership commerciale con la Cina, abbiamo tentato di farlo anche col Memorandum of understanding, ricordo ad esempio la vocazione importante che potrebbe avere il nostro Paese come terminal infrastrutturale dell’export cinese nei confronti dell’Europa, che ci consentirebbe di ribilanciare un gap che esiste con i porti del nord Europa (penso a Rotterdam e a Amburgo). Ecco, questa è una strada che va senz’altro perseguita ma non è antitetica alle battaglie politiche e sui diritti dei cittadini, anzi potrebbe aiutare nel dialogo su questi temi. Mi chiedo, però, se questo dibattito avrebbe senso in Germania.

Cosa intende?

La Germania in questi decenni ha sviluppato delle relazioni fortissime con la Cina, ha un export che rasenta i 100miliardi di euro l’anno nei confronti della Cina e viene vista spesso come un Paese di riferimento, campione della trasparenza e dei diritti dell’uomo, ma questo non le ha impedito di sviluppare rapporti saldi con Pechino. Mi sembra, questa, un polemica montata da alcune forze politiche quando ci sono altre questioni certamente più rilevanti che riguardano altri partiti.

Si riferisce alla Lega di Salvini?

Sì, la Lega di Matteo Salvini, alleata di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, è coinvolta ancora nello scandalo del Rubligate e non ha ancora chiarito i contorni di queste supposte richieste di finanziamento a intermediari russi per la propria campagna elettorale. Ecco, questi mi sembrano fatti di estrema rilevanza che impattano fortemente sulla vita democratica di un Paese e devono trovare delle risposte chiare, precise e puntuali, dato che riguardano direttamente e indirettamente figure apicali di quel partito. Un semplice colloquio con un ambasciatore trasformato in un caso di Stato mi sembra una strumentalizzazione, forse una foglia di fico per coprire altre magagne.

A proposito di Cina, passiamo al capitolo 5G. Gli Stati Uniti continuano a chiedere l’esclusione di Huawei e Zte e contemporaneamente Bloomberg ha pubblicato una bozza di dichiarazione congiunta in cui si dice che i fornitori sul 5G saranno valutati anche sulle leggi del Paese di provenienza. Eppure M5S continua ad avere un rapporto stretto con i player cinesi. Come lo spiega?

Sul 5G voglio ricordare due cose molto importanti: in primis noi lo abbiamo escluso dal Memorandum of understanding anche dopo confronto e su consiglio del Presidente Mattarella. In secondo luogo molti di noi hanno espresso perplessità anche sulla tecnologia stessa, ci sono alcuni studi che sollevano dubbi sul potenziale impatto sulla salute di questa tecnologia e noi difendiamo strenuamente il principio di precauzione in ogni campo quindi è bene che ci siano ulteriori approfondimenti. Oltre a questo, ci sarà sempre da parte nostra la volontà di difendere il nostro Paese dal rischio di ingerenze, influenze o interpolazioni derivanti dall’uso di tecnologie che non siano pienamente trasparenti e sicure.

Il Movimento 5 Stelle sta attraversando una crisi di consensi e adesso si presenterà in Emilia-Romagna e Calabria da solo. Se verrà confermato il calo, che cambiamenti ci saranno all’interno del Movimento?

Io penso che debba essere operata una profonda riflessione e ristrutturazione a prescindere dai risultati delle prossime elezioni regionali, perché è evidente agli occhi di tutti che il Movimento 5 Stelle è in grande difficoltà che ha una genesi secondo me non congiunturale ma strutturale.

Cosa è mancato?

In questi anni non c’è stata sufficiente attenzione e mobilitazione di risorse in primis umane, ma anche logistiche e di supporto per i nostri consiglieri comunali e per le realtà a livello locale che faticano oggi a fare rete e a fare da terminale di ascolto e di aiuto e di lavoro per noi nelle singole parti del territorio. È necessario riportare in auge il tema della condivisione, della capacità di strutturare un processo decisionale che coinvolga meglio e tutte le anime del Movimento sia sui temi che sugli stessi processi decisionali. E credo sia necessario anche rafforzare l’uso del voto su Rousseau, che è una risorsa indispensabile per il Movimento.

Grillo e Di Maio hanno parlato di un nuovo contratto con il Pd, da gennaio e dopo il voto sulla manovra. Indispensabile per far proseguire la legislatura?

Sostengo fermamente questo governo e credo che debba avere necessariamente un orizzonte temporale di legislatura, quindi per i prossimi tre anni, per poter operare al meglio e portare a termine le riforme che abbiamo già negoziato e avviato. Un orizzonte corto ci impedirebbe di poter essere incisivi e aprirebbe la strada alla retorica vuota, inconcludente e anche estremista della Lega di Salvini, fermo restando che il tradimento operato da loro questa estate ci fa da specchio chiaro della loro poca credibilità e serietà come forza di governo. Partendo da questo presupposto, ogni discorso che possa approfondire e arricchire un programma di governo negoziato nell’urgenza di dare un governo al Paese in un momento drammatico, con la legge di bilancio da scrivere, è un passo in avanti e non un ostacolo davanti al governo attuale.

Parliamo ora della Commissione europea: mercoledì ci sarà il voto sui 27 commissari, il Movimento 5 Stelle ha già deciso come votare?

Abbiamo seguito con attenzione il processo di audizione commissario per commissario, è chiaro che al di là delle promesse sarà fondamentale ciò che conterà sarà l’impegno della Commissione e dei singoli commissari sui temi specifici. Abbiamo espresso un voto di incoraggiamento, chiamiamolo così, a Ursula von der Leyen lo scorso luglio e abbiamo sempre detto che non è una fiducia in bianco, ma una fiducia che dovrà essere suffragata da iniziative concrete sui temi a noi più cari.

Quali sono?

In particolare ci preme la lotta alle disuguaglianze, la creazione di uno schema di direttiva sul salario minimo, la transizione ecologica ed energetica verso un paradigma sostenibile e l’obiettivo ultimo e ambizioso sulla neutralità del nostro continente entro i prossimi vent’anni, ma anche una profonda riforma del sistema di Dublino, con una configurazione che sia davvero equa, con una ripartizione vincolante e solidale tra gli Stati membri, per prevenire le crisi drammatiche che abbiamo affrontato gli scorsi anni.


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