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Ecco come Tokyo prova a sedurre i fondi d’investimento di Hong Kong

Il Giappone non vuole perdere un’opportunità che pare servita su un piatto di argento: aprire le porte a chi cerca di abbandonare il mercato finanziario di Hong Kong, dove da mesi si consumano proteste che peggiorano di giorno in giorno. E, così, guadagnare terreno nella battaglia, economica ma non solo, con la Cina.

LA NUOVA HONG KONG

Gli hedge fund gestiscono una fetta importante del mercato dei capitali e della gestione del risparmio a Hong Kong.

A causa della crisi sull’isola sono già o stanno valutando una fuga. A luglio, i deflussi dei fondi domiciliati all’isola erano arrivati a 300 milioni di dollari, ma ora la cifra che oscilla è decisamente più alta. In ballo ci sono circa un miliardo di dollari di asset che, di fronte al clima d’incertezza che si vive a Hong Kong, potrebbero essere alla ricerca di lidi più stabili.

Per la Cina la piazza di Hong Kong è vitale: si tratta dell’unico mercato in cui lo yuan è convertibile. E Shanghai, che alcuni avevano pensato potesse sostituire l’isola, non ha le caratteristiche giuste per prendere il posto dell’isola, che rappresenta la finestra cinese sulla finanza mondiale.
Per questo, una delegazione giapponese si è portata avanti e si sarebbe recata sull’isola per offrire ai rappresentanti dei fondi un trasferimento in Giappone. Il Financial Times sostiene che il gruppo si stia muovendo sottotraccia, ma che conti sul supporto del governatore di Tokyo, Yuriko Koike. Le prime chiamate della delegazione della capitale saranno ai vecchi fondi che prima erano in Giappone e hanno in seguito traslocato a Hong Kong dopo la crisi finanziaria del 2008 e dopo il terremoto del 2011.

TOKYO-PECHINO, UNO STORICO CONFRONTO

Il rapporto concorrenziale tra Cina e Giappone è profondo e antico. Un’analisi intitolata “Relazioni sino-giapponesi: cinque anni di litigi” pubblicata da Policy Forum – Asia & The Pacific Policy Society spiega come i Paesi abbiano bisogno l’uno dell’altro, ma diffidenze reciproche impediscono uno sviluppo serio della relazione. Ed è per questo che Tokyo guarda ad altre potenze medie della regione per garantire il suo futuro.

Sul fronte della sicurezza marittima, la pubblicazione sottolinea che dalla nazionalizzazione delle isole Diaoyu/Senkaku ad oggi, le tensioni tra Cina e Giappone non sono diminuite. I giapponesi hanno identificato navi cinesi entrare nel loro territorio che circonda le isole e hanno visto costruire (e militarizzare) isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale. Come risposta, Tokyo ha rafforzato alleanze strategiche con Australia, Vietnam, Filippine e India e ha sostenuto una visione indo-pacifica libera e aperta, il Corridoio di crescita dell’Africa asiatica e il Data Free Flow, allo stesso tempo ha aumentato e fortificato il legame con gli Stati Uniti negli ultimi cinque anni.

Tutto ciò non è stato ben digerito da Pechino, che sente violati i suoi interessi in termini di sovranità statale, sicurezza, integrità territoriale e riunificazione nazionale, tutti considerati fondamentali per il suo sviluppo economico e sociale.

“Entrambi gli stati sono profondamente diffidenti l’uno dell’altro”, si rimarca nel report. “La Cina continua a sospettare che il Giappone sia parte di una strategia degli Stati Uniti per contenere la Cina, mentre il Giappone ha profonde preoccupazioni sulle intenzioni a lungo termine di Pechino nella regione e su ciò che questo significherà per la sicurezza di Tokyo. È anche preoccupato per la sua capacità di agire in modo indipendente quando l’economia cinese supererà l’economia americana”.

La Cina ha anche bisogno del Giappone per gestire le relazioni con gli Stati Uniti: “Il Giappone può essere un ponte che la Cina potrebbe usare per ridurre la crescente rivalità strategica con gli Usa, oppure, può essere un potente partner americano per limitare le ambizioni della Cina nella regione […] Il Giappone dovrebbe collaborare con altre potenze medie affini per favorire un ambiente che lavori per questi obiettivi”.

IL RUOLO DELL’INDONESIA

In questo panorama di tensioni c’è un altro attore che potrebbe sfruttare la situazione e trarne profitto: l’Indonesia.

Un articolo pubblicato dal South China Morning Post a firma di Muhammad Zulfikar Rakhmat, docente presso l’Università islamica dell’Indonesia e ricercatore dell’Istituto per lo sviluppo dell’economia e delle finanze a Jakarta, sostiene che l’Indonesia sarà la vera vincitrice nella prossima battaglia economica Cina-Giappone.

Il mondo degli investimenti è un altro terreno di battaglia tra Giappone e Cina. Zulfikar Rakhmat scrive che secondo “il Consiglio di coordinamento degli investimenti dell’Indonesia, il Giappone ha investito 2,4 miliardi di dollari in Indonesia nel 2018, diventando il secondo maggiore investitore del Paese […] Singapore, il più grande investitore indonesiano nel periodo 2018, ha contribuito con 9,2 miliardi di dollari, ovvero, il 39,4% degli investimenti esteri totali in Indonesia”.

Il Giappone sembra avere l’ambizione di rafforzare la cooperazione con Jakarta come parte di una strategia per spostare il potere economico in Asia.  Ugualmente, è probabile che la Cina intensifichi la propria cooperazione con l’Indonesia.

“Che queste due relazioni (Cina/Indonesia e Giappone/Indonesia, ndr) sboccino esattamente nello stesso momento non è una coincidenza”, conclude Zulfikar Rakhmat. “Piuttosto, è la prova che i due giganti asiatici – la seconda e la terza più grande economia del mondo e rivali a lungo termine – vedono sempre più la nazione del Sud-Est asiatico come un campo di battaglia”.

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