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Porti, 5G, Hong Kong. La Cina in Italia secondo Terzi

“La principale minaccia del modello cinese è verso uno Stato di Diritto basato sulla libertà, sulla dignità della persona, su una giustizia equa che risponda esclusivamente a leggi adottate attraverso la libera espressione della volontà popolare e da istituzioni parlamentari che la rappresentino”. A crederlo è l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, diplomatico di lungo corso, già ministro degli Esteri del governo Monti, che in una conversazione con Formiche.net parla di alcune vicende che nelle ultime settimane hanno riacceso i riflettori sulla penetrazione di Pechino sul tessuto economico, politico e sociale italiano: dalle accuse sollevate a un ex ambasciatore (a cui viene contestato l’aver soffiato ai cinesi informazioni riservate su aziende italiane) alle dinamiche attorno al porto di Trieste, fino alle reazioni dure di Pechino davanti alla possibile visita a Milano e Roma dell’attivista hongkonghese Joshua Wong.

Partiamo dalla cronaca: il governo cinese ha attaccato duramente l’annuncio di un tour in Italia dell’attivista di Hong Kong, l’ha definito un “separatist” alla stregua del Dalai Lama, ha detto che l’Italia non deve interferire con gli affari cinesi. Una posizione che la scorsa settimana il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aveva preso egli stesso durante una visita a Shanghai. Cosa ne pensa?

È abbastanza singolare che un ministro degli Esteri dell’Unione europea oggi, nel 2019, dica che la questione dei diritti umani è un aspetto che non gli riguarda. La non interferenza negli affari interni sul fronte dei diritti umani pensavamo fosse morta nel 1975 con l’Atto Finale di Helsinki. Tra l’altro val la pena ricordare che ogni stato membro dell’Ue si impegna, secondo il trattato costitutivo, a promuoverli per il mondo quei diritti. Può un ministro come Di Maio tacere mentre per strada la polizia cinese spara a bruciapelo ai manifestanti di Hong Kong?

Wong è davvero quello che la Cina descrive?

Tutt’altro, è lo stesso trattamento riservato al Dalai Lama. È disinformazione, la creazione di narrazioni difensive tipico delle autarchie violente. La Cina comunista di Xi Jinping si comporta col metodo Ribbentrop. Mette in bocca ai suoi nemici falsità. Lo stesso Dalai Lama ha sempre detto che il suo obiettivo era l’armonia, il rispetto, non l’indipendenza. E pure Wong, che è un personaggio chiave delle rivolte di Hong Kong con cui il Partito Radicale ha un contatto in piedi da tempo. Noi dobbiamo contare molto sul suo arrivo in Italia, e se dovessero esserci problemi sarà una dimostrazione ulteriore di come la Cina opera (come ha sempre fatto) al di là della legge. E questo carattere dogmatistico non riguarda solo i suoi cittadini, ma anche pressioni che esercita comprando certe situazioni in giro per il mondo.

Si discute della vicenda che ha coinvolto l’ambasciatore Morabito, su cui ci si augura una soluzione lineare e un decadimento delle accuse. Cosa ci mostra però?

Esattamente, mi auguro la conclusione serena dell’iter procedurale, di cui dobbiamo aspettare il corso. Parlando in generale però, possiamo dire che uno dei problemi della penetrazione cinese è quella che potremmo chiamare La Via della Corruzione. È un loro modus operandi. Comprano, in diversi modi (soldi, favori, benefit, eccetera), non solo dipendenti del settore privato, ma anche quelli del comparto pubblico. E quando un dipendente del settore pubblico, magari un alto funzionario con diverse cose tra le mani, inizia a passare informazioni riservate a un Paese straniero, diventa un problema per la sicurezza nazionale.

A proposito, dunque: la questione porti e infrastrutture strategiche. C’è Trieste e ce ne sono altri. Che cosa succede?

Bisogna tener presente che la Cina domina una vasta gamma di prodotti e servizi marittimi, è il più grande produttore di container marittimi al mondo, è leader per flotta di dragaggio, produzione di gru su nave e a terra. Lo sviluppo di questo comparto, neanche a dirlo, si basa su sussidi statali. Come parte del piano “Made in China 2025”, la Cina mira a catturare il 50% del mercato globale del trasporto marittimo ad alta tecnologia e l’80 dei sistemi e delle attrezzature essenziali per tali navi. Sono tutte attività dual use, civile e militare, che Pechino persegue dichiaratamente nella sua strategia di fusione delle due dimensioni. La storia è piena di esempi di navi civili e infrastrutture marittime impiegate per scopi strategici. La Cina lo sta già facendo nel Mar Cinese Meridionale. E ora la fa nel Tirreno e nell’Adriatico, grazie all’Italia.

Qualche esempio? 

A Vado Ligure il terminal container che il prossimo dicembre prenderà il via è gestito da una società, la Apm Terminals Vado Ligure Spa, di cui il Dragone detiene il 49,9% attraverso le partecipazioni di “Cosco shipping ports” (società di stato cinese che è recentemente entrata anche a Trieste, ndr).

Altro tema gigantesco è quello che riguarda il mondo digitale. Qual è la sfida cyber della presenza cinese in Italia?

È un argomento a me molto caro (Terzi è presidente di Cybaze, azienda che si occupa di cyber security, ndr). Due i fattori. Primo, l’Internet delle cose (Iot) enormemente accelerato dalle reti 5G, consente la raccolta, gestione, elaborazione e utilizzo di metadati che riguardano l’identità digitale, la parola, il pensiero, le abitudini, i comportamenti, il lavoro e il tempo libero, persino gli affetti di ciascuno di noi. Ora, la smart city e i metadati che Huawei raccoglie, anche con metodi sperimentati nei laboratori di Milano Segrate e in Sardegna, sono uno strumento di controllo individuale e collettivo su chi abita nel nostro Paese, vi transita, e sulla gestione della sua economia, di lavoro e cultura.

E l’altro?

Consequenziale. Huawei non ci venga a dire che il controllo sulle smart city rispetterà tutte le regole europee. L’azienda è parte integrante dell’apparato di sicurezza della Cina comunista in base alla Legge adottata da Pechino nel 2017. Una norma che prevede l’obbligo per le aziende di questo tipo, e Huawei è la più importante, di collaborare in tutta l’attività di intelligence della Cina. Possiamo dire che i metodi e le tecnologie informatiche utilizzate per le smart city in Italia, le raccolte dei dati personali conservati su server in Cina, i sistemi di riconoscimento facciale, sono praticamente identici a quelli usati in Xinjiang. Quest’ultima è la regione in cui la Cina ha avviato una campagna di rieducazione etnica contro i musulmani uiguri. Ha costruito campi di internamento in cui vengono rinchiusi i cittadini di quelle zone, incarcerati anche attraverso metodi di polizia predittiva, e sottoposti a una specie di lavaggio del cervello per trasformali in buoni cinesi. E questo governo rischia di cedere la sovranità digitale del Paese a una potenza che costituisce in questo momento, di gran lunga, la più grande minaccia per la libertà.



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