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La Cina allunga i tentacoli dall’Africa all’Europa. L’analisi di Cianciotta

I cambiamenti in atto nel Mediterraneo impongono all’Unione Europea di considerare le opportunità che l’Europa del Sud potrebbe cogliere grazie alla sua posizione geografica, con un ruolo da protagonista nel riassetto degli equilibri internazionali, nonché di determinare le importanti occasioni di sviluppo economico, sociale, culturale, demografico e umano all’interno di tutta l’area mediterranea, dove transita oltre la metà del traffico marittimo globale diretto verso i porti del Nord Europa, senz’altro molto più efficienti in termini di servizi e di costruzione di un ecosistema positivo agli investimenti.
Contemporaneamente nel Mediterraneo si stanno giocando le partite decisive legate alla sicurezza e agli interessi economico-sociali dell’intero pianeta: Siria, Libia, Egitto e Tunisia. Sarebbe auspicabile, pertanto, la realizzazione di un sistema infrastrutturale all’avanguardia che possa permettere all’Europa del Sud di far fronte ai trend dei nuovi traffici commerciali e, soprattutto, di farle acquisire un maggiore potenziale in termini di efficienza e di sicurezza.

Tutte condizioni imprescindibili, queste, per conferire all’Europa meridionale una più ampia sovranità per sviluppare e rendere operativo il quadro delle reti Ten (reti di trasporto trans-europee) che permettono di seguire, intercettare e indirizzare i nuovi trend geoeconomici e geopolitici, dai quali il Mediterraneo allargato non può essere escluso, pena la perdita per l’intera Europa di un hub straordinario per riconquistare un ruolo centrale nel traffico commerciale marittimo e nella gestione degli approvvigionamenti energetici.
La Russia e l’Africa, infatti, detengono il 60 per cento delle risorse naturali del pianeta, e Putin dopo un ventennio di dominio incontrastato della Cina, che ha sperimentato in Africa la costruzione del suo modello di soft power alternativo a quello statunitense, nelle scorse settimane ha lanciato la sua Opa sulla spartizione delle ricchezze africane, sfruttando il combinato disposto del disinteresse degli Usa (e della Nato) e della grave assenza dell’Europa.

Le affermazioni condivisibili del presidente francese Emmanuel Macron sulla necessità di ridefinire il ruolo della Nato, avrebbero certamente un altro peso se il numero uno dell’Eliseo stesse lavorando per costruire l’Unione Europea e non solo per affermare la legittimità francese.
Il Vecchio Continente guarda all’Africa come ad un problema. Incapace di gestire le crisi umanitarie, l’Europa sta confermando nel Nord-Africa (dove la Cina senza intervenire minimamente nei conflitti ha però realizzato un milione di alloggi popolari in Algeria) tutta la sua debolezza che deriva dall’assenza di una politica estera e di difesa comune, temi sui quali per molti decenni l’Europa aveva delegato alla Nato qualsiasi ipotesi di sovranità. I continui richiami al ruolo e al valore della Nato di queste ultime settimane (l’ultimo in ordine di tempo è stato del capo dello Stato Sergio Mattarella) sembrano al contrario evidenziare non solo che il problema esiste ma che non vi è al momento alcuna cura. O, meglio, che ogni Paese individui la panacea in base alle sue esigenze del momento, e i recenti accordi del Porto di Trieste con la Cina non rispondono ad una logica di sistema (che in Italia non c’è mai stata a qualsiasi livello) ma a garantire una rendita di posizione (che Trieste si è conquistata in modo mirabile nel sistema dei porti europei) e favorire la costruzione di un altro tassello cinese verso la realizzazione della Nuova Via della Seta.

Per la cultura cinese la mossa strategica più efficace è quella che incontra la massima facilità, o non necessita di alcuno sforzo. In sostanza la buona mossa strategica è quella più naturale, ossia senza ostacoli (i cinesi non “violentano mai la situazione”). E oggi dopo l’Africa è l’Europa a costituire senza alcun dubbio il territorio più facile da conquistare in una prospettiva globale.
Ha assolutamente ragione l’ambasciatore ed ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Santagata quando mette in guardia dallo smantellamento degli asset strategici italiani. In questa fase di riposizionamento, nella quale il disimpegno Usa spinge inevitabilmente l’Europa tra le braccia del nuovo Leviatano, l’Italia dovrebbe invece essere capace di valorizzarli quegli asset, e farsi promotrice di una nuova identità europea, ricordandosi che è Paese fondatore e valutando che, elemento non secondario, l’economia tedesca sta rallentando in modo significativo con riflessi negativi che colpiranno anche la fragile economia italiana.

Tutti questi spazi di opportunità, però, anche in Europa li sta riempiendo da anni proprio la Cina, le cui operazioni di influenza strategica si stanno rivolgendo in particolare ai Paesi dell’Europa centro-orientale che fanno parte della formula di cooperazione regionale 16 + 1 della Cina. Il formato 16+1 è un’iniziativa della Cina volta a intensificare ed espandere la cooperazione con 11 Stati membri dell’Ue e 5 paesi balcanici: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, in settori quali investimenti, trasporti, finanza, scienza, istruzione, cultura e altri. Bulgaria e Cina hanno definito quattro potenziali aree prioritarie per la cooperazione economica per il 2019-2020: alta tecnologia, investimenti, partenariato industriale, joint venture; infrastrutture; agricoltura; turismo. Legati alla Cina dall’ideologia durante tutta la Guerra Fredda, i “16” rappresentano oggi un blocco di riferimento economico/politico per Pechino nel contesto regionale europeo, così come un mercato in espansione che può garantire affari e contratti agli imprenditori cinesi. Da parte sua la Cina non ha fatto nulla per mascherare il proprio interesse verso il gruppo di Paesi, incentivando la cooperazione economica, diplomatica e culturale, stimolando gli investimenti delle proprie imprese nei loro mercati e sviluppando nei “16” progetti infrastrutturali legati alla Nuova Via della Seta.
Pechino considera a tal proposito la Repubblica Ceca un’importante testa di ponte per la sua ulteriore espansione economica in Europa. Secondo il rapporto annuale del controspionaggio della Bri nella Repubblica ceca, l’amministrazione cinese e i suoi servizi di intelligence hanno posto l’accento sull’influenza sulle strutture politiche e statali ceche e sulla raccolta di informazioni politiche, con la partecipazione attiva di élite ceche selezionate, tra cui politici e funzionari statali.

Questi rapporti si riferiscono alle attività del China Fund Committee (Cefc) – un’organizzazione non governativa registrata a Hong Kong, considerata un braccio politico della sua controllata di partecipazione la China Huaxin Energy – un conglomerato di energia multimiliardario con aziende che hanno sede a Hong Kong, Singapore e Cina continentale. Negli ultimi tre anni, Cefc ha avviato acquisizioni nella Repubblica Ceca, compreso l’acquisto di immobili rappresentativi vicino all’ufficio presidenziale. Questi “investimenti” sono serviti come porte iniziali per le più alte élite politiche del Paese. Infatti, il presidente della Cefc Ye Jianming è stato nominato consigliere ufficiale dal presidente ceco.
Lo sfruttamento delle operazioni di informazione rappresenta i tentativi ibridi o non cinetici di Pechino di influenzare direttamente le aree strategiche della competizione in Asia e in Europa.

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