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I Cinquestelle cercano casa (e diventano un partito). L’analisi di Antonucci

Una rivoluzione copernicana per il MoVimento, che aveva costruito sulla volatilità movimentista, prima tra i MeetUp, poi sulla Rete,  un tratto distintivo della propria esperienza politica, anche in funzione oppositiva agli apparati e alla strumentazione dei partiti “casta”. Un modello di leggerezza e agilità, sulle ali del web e della sua intelligenza collettiva, che ora sembra cercare la strada di più solide collocazioni fisiche nello spazio immobiliare delle grandi città italiane . Non solo: sembra sempre più certa la circostanza che il M5S si doti di un apparato formalizzato su base nazionale, in grado di guidare le operazioni sui territori. Il tema è emerso nel corso della kermesse napoletana per i dieci anni di vita del MoVimento, a inizio ottobre 2019, e sicuramente è tornato in questione per due logiche distinte e divergenti.

Da un lato, il successo elettorale alle elezioni politiche del 2018, ha prodotto una classe dirigente pentastellata, che ha bisogno di spazi di coordinamento dedicati, che non siano necessariamente l’aula dei gruppi parlamentari alla Camera, la piattaforma Rousseau o una sala riunioni dell’Hotel Forum a Roma. La scelta di dotarsi di una sede nazionale e delle sedi territoriali fa uscire il M5S dal trade off tra la scelta di tenere incontri politici rilevanti per il futuro del MoVimento o nella dimensione liquida della rete (tratto comune con altri partiti liquidi nati sul web all’inizio degli anni 2000) o, alternativamente in sedi istituzionali (le aule dei gruppi parlamentari) o molto private (l’hotel di Grillo o l’appartamento di Spadafora). Si tratta di un processo di istituzionalizzazione comune a tutti i movimenti che si trasformano in un elemento più stabile del panorama politico. In questa fase si acquisisce una forma definita e stabile, con una ripartizione interna di funzioni e risorse e con una localizzazione definitiva in cui accogliere questa nuova organizzazione.

Dall’altro lato la scelta di trasformarsi in un soggetto politico più formalmente riconoscibile è al tempo stesso l’esito degli insuccessi elettorali recenti delle elezioni europee del 2019 e delle molte tornate regionali di quest’anno. La percezione che gli elettori hanno mostrato nei confronti dell’azione politica dei pentastellati al governo (prima con la coalizione giallo-verde, ora con l’esecutivo giallo-rosso) ha portato risultati molto modesti nei consensi elettorali e la scelta di ricollocarsi nei territori costituisce al tempo stesso la denuncia di una inefficacia della strategia elettorale recente. In un contesto in cui l’elettorato appare sempre più diviso in modo polarizzato, la scelta di essere forza di governo (prima con una coalizione di centro-destra, poi di centro-sinistra), anziché galvanizzare la base elettorale ne ha turbato la percezione. La scelta di riprendere la dimensione politica sui territori è frutto di una strategia di riconquista molto solida  e molto poco fluida, in cui il M5S presenta luoghi, volti e momenti di identificazione forte nello spazio fisico della politica.

Resta da osservare come il percorso di istituzionalizzazione comporti spesso un mutamento di leadership, alla ricerca di maggiore stabilità nel medio periodo, più che di continuità con il passato recente. Sarà interessante verificare, sul campo, quanto questa nuova linea di istituzionalizzazione del MoVimento e  di ritorno ai territori (e alle basi elettorali che in questi ambiti hanno spesso contestato la linea nazionale del M5S) corrisponderà un cambio significativo nella classe dirigente nel corso dei prossimi mesi, magari con una svolta verso un leader del Nord o del Centro.


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