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Scrivere la Costituzione sui social network. Il commento di Celotto

I social network per riscrivere la Costituzione: utopia o follia? L’esperienza islandese ci insegna che è possibile, che la democrazia può assumere nuove forme, slegate dalla cabina elettorale.

Si tratta della Costituzione in crowdsourcing, la Costituzione riscritta quasi direttamente dal popolo che si riappropria così del potere costituente originario.

Il progetto nordeuropeo, passato quasi in sordina tra il 2011 e il 2013, torna alla ribalta nel dibattito politico odierno in cui ci si chiede se i tempi siano maturi per una nuova Assemblea Costituente.

Il crowdsourcing si basa su un’idea di democrazia partecipata, un processo di redazione del contratto sociale che è il più inclusivo e trasparente al mondo: la creazione di un’Assemblea costituente 2.0, dove qualunque cittadino possa intervenire con idee, suggerimenti e critiche.

Punto focale di tale progetto è l’inclusione del cittadino “comune” nel processo di costituzionalizzazione dalla fase iniziale, di raccolta delle idee – il crowdsourcing, per l’appunto – fino a quella finale, tramite la consultazione referendaria.

Il progetto islandese è iniziato con un processo consultivo, basato su un campione di 950 persone, rappresentative della popolazione, il cosiddetto “Forum Nazionale”, che aveva lo scopo di decidere quali principi e valori includere nel nuovo testo costituzionale.

La seconda fase è stata caratterizzata dalla creazione dell’Assemblea costituente vera e propria, composta da 10 donne e 15 uomini, selezionati tra 522 cittadini, con esclusione totale dei “politici di professione”, dimostratisi incapaci e inaffidabili a seguito della crisi del 2008.

Ma il fulcro di tale processo di costituzionalizzazione 2.0 si è avuto proprio nel tanto demonizzato utilizzo dei social network, dimostratosi incredibilmente efficace ed efficiente: i cittadini hanno proposto, tramite Facebook e Twitter, circa 3.600 commenti di cui 360 si sostanziarono in suggerimenti veri e propri, alcuni dei quali confluiti anche nella bozza del progetto finale.

Il progetto venne poi votato favorevolmente nel referendum del 2012 con l’approvazione dei 2/3 dei votanti, ma si arenò successivamente in Parlamento.

Il fallimento dell’esperienza islandese, dunque, non è attribuibile al nuovo strumento di democrazia partecipata, anzi. Fu lo strumento di democrazia rappresentativa a bloccare, quasi sul nascere, il nuovo progetto di una Costituzione scritta quasi direttamente dai cittadini.

Certo, deve prendersi in considerazione la scarsa popolazione e l’altissimo tasso di alfabetizzazione dell’Islanda che ha reso possibile la quasi realizzazione di una democrazia diretta, sostitutiva dell’antico modello rappresentativo, dimostratasi maggiormente confacente alle esigenze di tutte le minoranze.

È possibile la realizzazione di un’Assemblea costituente 2.0 nell’ordinamento italiano, secondo il modello islandese? Punto difficile, ma ormai la democrazia non può più ignorare i social network, quale strumento che maggiormente permette la partecipazione del cittadino a qualunque evento della vita, compresa la gestione della res pubblica.


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