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Ecco il nuovo Ppe. Tanta Germania, poca Lega (per ora)

Il Congresso del Ppe (Partito popolare europeo) a Zagabria si è chiuso con l’elezione di Donald Tusk come nuovo presidente. Questa, di per sé, non è una sorpresa: il polacco, presidente del Consiglio europeo uscente, era l’unico candidato a succedere al francese Joseph Daul. Era nell’aria anche l’incarico di vicepresidente ad Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo e numero due di Forza Italia, che dunque si conferma membro a pieno titolo della famiglia popolare.

GERMANIA AL CENTRO…

Non tanto le nomine, quanto le direttive di azione emerse durante la kermesse meritano attenzione. Perno geopolitico del partito si conferma la Germania, che esprime la nuova presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e vanta un peso specifico senza eguali grazie alla leadership, affievolita ma ancora solida, della cancelliera Angela Merkel.

È una Germania diversa da quella che ha visto nascere la scorsa legislatura europea. L’economia tedesca soffre una stagnazione senza precedenti, e deve fare i conti con gli stessi vincoli alla finanzia pubblica di cui il rigorismo dei suoi legati europei ha fatto un vangelo a Bruxelles. L’attenzione al deficit rimane la stella polare e così quella al rispetto dei vincoli sul debito, come dimostra il pressing tedesco per modificare la struttura del Mes (Meccanismo europeo per la stabilità). A Zagabria però la cancelliera è parsa aprire uno spiraglio, auspicando una gestione delle finanze Ue più “giusta ed equa”.

…E FRANCIA NEL MIRINO

La natura germano-centrica del Ppe è emersa anche nelle frecciatine, neanche troppo velate, ai piani europei del presidente francese Emmanuel Macron con cui, è noto, Berlino ultimamente non va granché d’accordo. Due i richiami più eloquenti, ed espliciti. Il primo è arrivato sulla Difesa europea, che, ha chiarito ancora la Merkel, non è “contro la Nato ma con la Nato”. Il secondo sull’adesione dell’Albania e della Macedonia del Nord all’Ue cui la Francia si è opposta, “i Balcani occidentali devono avere la possibilità di entrare, manterremo la promessa”.

LEGA? NO GRAZIE

Nessun nuovo fronte, almeno ufficialmente, negli affari domestici. Da tutti i maggiorenti del partito, compreso Tusk, è giunto un sonoro no a un’apertura ai sovranisti. Anche per la Lega di Matteo Salvini, per il momento, le porte rimangono chiuse, “ci sono dei limiti”, ha risposto in conferenza stampa il neo-presidente. “Mai con chi è responsabile del declino inesorabile dell’Europa” gli ha ribattuto a distanza un piccato Marco Zanni, responsabile degli Affari Esteri del Carroccio e capogruppo del gruppo Identità e Democrazia a Strasburgo. Un lumicino però rimane acceso. Silvio Berlusconi, partito alla volta di Zagabria dopo un caffè a palazzo Grazioli con Salvini, rimane ottimista. Un’adesione non è all’ordine del giorno ma, dice, il Carroccio è pronto a dare i suoi voti, a seconda del singolo provvedimento, alla von der Leyen. Lui, promette, farà “il mediatore”. Una promessa cupa sia per il Ppe che per il Carroccio che, confessa chi conosce entrambi, tutto volevano tranne che la mediazione di Berlusconi.

UNO SPIRAGLIO (NUMERICO)

Le parole del Cavaliere fanno comunque immaginare un’apertura nel prossimo futuro. Anche perché la maggioranza di popolari, socialisti e liberali su cui si regge la Commissione von der Leyen è appesa a un’esile pattuglia parlamentare. A luglio, per eleggere la presidente, è risultato decisivo il voto degli eurodeputati dei Cinque Stelle. Loro sono 14, i leghisti 29. A buon intenditor…

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