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Forze Speciali. Storia e presente dell’eccellenza italiana colpita in Iraq

Addestramento durissimo, selezione ferrea: in media passa il 10 per cento degli aspiranti. Il mondo delle Forze speciali è a sé, riservato per definizione, segreto nelle operazioni. Per questo se ne parla molto meno degli impegni di tutta la Difesa nelle missioni internazionali nelle quali sono sempre presenti, oltre ad altri incarichi particolari di cui non si sa niente e che svolgono in diverse aree di crisi del mondo. Di queste unità di eccellenza fanno parte i cinque militari feriti gravemente nell’attentato in Iraq, in particolare elementi del 9° reggimento Col Moschin dell’Esercito e del Gruppo operativo incursori della Marina.

I reparti

I reparti di Forze speciali sono il 9° Reggimento paracadutisti d’assalto Col Moschin dell’Esercito, il Gruppo operativo incursori (Goi) del Comsubin della Marina, il Gruppo intervento speciale (Gis) dei Carabinieri e il 17° Stormo incursori dell’Aeronautica. Si aggiungono due reparti di Forze per operazioni speciali: il 185° Reggimento Ricognizione e Acquisizione Obiettivi (Rrao) “Folgore” e il 4° Reggimento alpini paracadutisti, i Ranger. Infine, due reparti di supporto sono il 3° Reggimento Elicotteri per Operazioni Speciali (Reos) “Aldebaran” e il 28° reggimento Comunicazioni Operative “Pavia”. Questi quattro reparti sono dell’Esercito.

Duri, ma non Rambo

Si immaginano scene da film, e molte lo sono, ma mai con lo spirito sbruffone. Anzi, è proprio il contrario. Due anni fa in un’intervista a Formiche.net il generale Nicola Zanelli, all’epoca comandante del Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali (Cofs), spiegò dettagliatamente quel mondo nel quale entrò come giovane ufficiale del Col Moschin: “Abbiamo tutti paura: chi deve decidere e chi deve operare. Quando il rischio si alza, aumenta anche la paura e questa va gestita. È proibito dare una versione hollywoodiana delle Forze speciali, è falso”. Tanto falsa che la Difesa tende a escludere quelli troppo palestrati perché, ci disse Zanelli, “sono tanto belli quanto poco utili in operazione, con cedimenti a livello cartilagineo e tendineo. Avremmo bisogno più di un mezzofondista che di un body builder. Meglio il piccolo calabrese, silenzioso e allenato a procedere per lunghe distanze senza grandi masse muscolari, rispetto a chi è atleticamente impressionante. L’apparenza inganna”.

Una selezione feroce

Passione, determinazione, altruismo, senso del dovere, desiderio di difendere la Patria: è un insieme di motivazioni che spinge giovani militari a chiedere di far parte di reparti così qualificati e mediamente ne passano solo 2 su 20, anche se la statistica viene fatta sul medio periodo perché alcuni dei selezionati nel giro di pochi anni potrebbero rinunciare per motivi personali o per infortuni in addestramento o in operazioni. Tanto per capirci, gli istruttori puntano a distruggerli fisicamente e psicologicamente prima ancora di sottoporli ai test veri e propri: solo chi ha una motivazione eccezionale supera prove indicibili. “Limitiamo le ore di sonno e li facciamo lavorare di notte per portarli allo stancamento” spiegò Zanelli. Nel libro sulle Forze speciali realizzato nel 2017 dallo Stato maggiore della Difesa fu pubblicata anche una foto di aspiranti incursori del Col Moschin durante il corso di sopravvivenza operativa e resistenza a interrogatori: se vengono fatti prigionieri sanno come reagire e come resistere.

Tre secondi

Che cosa può fare una persona normale in soli tre secondi? Ecco come Zanelli spiegò quello che devono (ripetiamo: devono) riuscire a fare in tre secondi gli operatori delle Forze speciali: “Il nostro addestramento è finalizzato ai tre secondi che determinano il conflitto in un ambiente ristretto. Se entriamo in una stanza, dobbiamo farcela prima del nemico: meccanismi, tecnologie, armi e forma mentis grazie ai quali in due secondi devi sparare uno o due colpi sul bersaglio e in quei due secondi devi prima capire se davanti a te c’è un amico o magari uno ‘scudo umano’ messo lì apposta”. E bisogna eccellere in ogni settore: un ottimo nuotatore o parà può essere escluso se non è perfetto nel tiro, e viceversa. “La paura va gestita sott’acqua di notte, quando ci si lancia da un elicottero che non si è mai visto prima, quando si deve aprire il fuoco dietro una porta o si deve raggiungere un obiettivo in modo clandestino. Chi non ha paura è pericoloso per sé e per gli altri”.

Impegni all’estero e, se serve, in Italia

Le attività di addestramento (le sole di cui si possa parlare) sono tra le più apprezzate a livello internazionale. I cinque militari feriti gravemente nell’attentato nel Kurdistan iracheno, membri della Task Force 44, erano al fianco dei peshmerga curdi e il capo ufficio comunicazione dello Stato maggiore della Difesa, contrammiraglio Fabio Agostini, ha spiegato che l’attività svolta subito prima dell’esplosione, avvenuta a pochissima distanza dalla base, aveva fatto individuare materiale e nascondigli dell’Isis. Se in base a una legge del 2015 le unità di Forze speciali possono anche agire di supporto alle missioni dell’Aise, l’intelligence per l’estero, in Italia possono contribuire in caso di attentati, magari simultanei, qualora il preliminare intervento del Nocs della Polizia e del Gis dei Carabinieri non fosse sufficiente. Non bisogna dimenticare che i ragazzi così gravemente feriti in Iraq e i loro colleghi svolgono un ruolo determinante non solo per la politica estera italiana, ma anche per la sicurezza di tutti noi.

(Foto: Ministero della Difesa)


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