Fa freddo a Parigi. Molto più di un anno fa. Il cielo bianco è gonfio di neve. Forse verrà giù nelle prossime ore. Di certo la pioggia annunciata sarà gelida. Non se ne gioveranno i “reduci” della prima manifestazione che si mobilitarono indossando gilets jaunes e raccogliendo la simpatia dei francesi contro Emmanuel Macron da poco presidente. Davanti ai bistrot e sulla scale del Metrò si rievocano sottovoce quei “giorni felici”.
Da Place de la République alla Concorde e dagli Champs- Elysées alla Bastiglia c’è fermento. Un fine settimana da ricordare, dicono i magrebini che osservano il via vai in Boulevard Beaumarchais, memori di ciò che accade nell’altro novembre, quello epico che per un po’ non mise la Francia in ginocchio.
Ma una rievocazione che mai sarà? Qualche slogan, un po’ di rumore, casseurs schedati che staranno ai margini dei cortei ed il 63% dei francesi felici che i gilets jaunes movimentino la mortifera (forse per il freddo) Parigi che si gode i suoi 3 gradi di nevischio ben sapendo che tanto non accadrà nulla di significativo.
Eppure qualcosa c’è che dovrebbe impensierire tutti, dall’Eliseo alle banlieue: l’imprevedibilità.
Quando apparvero all’orizzonte, i manifestanti erano contadini, imprenditori agricoli, commercianti, artigiani, un po’ di ceto medio insomma, che profittando dell’aumento del carburante per le macchine che si usano in campagna, per il raccolto o la mietitura, intesero mandar a dire al giovane presidente che non ce la facevano più. In un sabato qualunque, un sabato come un altro, mentre le ragazze bianche, nere, asiatiche e mediorientali, di cuffiette munite e attillate come il costume comanda si apprestavano a raggiungere i maschi sciamando dalla metropolitana, prevalentemente dalla rive gauche, l’imprevisto si affacciava ai margini dei grandi viali e nelle stradine dei quartieri coloratissimi. Il solito apericena, il solito drink molto alcolico, il solito tormento tra un caffè e l’altro dalle parti del Marais fino al Canal Saint Martin. L’onda travolse il sabato parigino. Un’onda anomala.
E fu l’inizio della rivoluzione, diciamo così. Per venticinque fine settimana l’appuntamento è stato rispettato. Lo spettacolo gratuito. Sono cambiati i protagonisti. Del ceto medio non s’è visto quasi più nessuno alla fine. Di scalmanati sì. E ha vinto Macron che pur aveva iniziato la partita con molti handicap.
Adesso i gilets jaunes cercano il rilancio. I “duri” sperano di mettere a ferro e fuoco la Francia. Difficilmente ci riusciranno. A un anno dall’inizio di quella rivoluzione da operetta, i gilets jaunes cercano una rivincita.
Qualcuno mi ha detto che non sopportano di essere stati dimenticati. Ma come poteva essere il contrario? Macron ha stanziato un sacco di miliardi di euro, ma non ha risolto i problemi di fondo. Intanto, però, il carburante costa meno, il raccolto è stato buono, le speranze sono migliori nella Francia profonda. È tornato, come sempre il Beaujolais nouvelle e si brinda a Bacco e alla Repubblica, con ardore verso il primo, piuttosto ammosciati alla seconda. Secondo un sondaggio Elabe per Bfm-Tv, oltre metà dei francesi, il 55%, dice di approvare la mobilitazione, ma il 63% si oppone all’eventualità che possa riprendere. Leggermente difformi gli altri dati raccolti. I gilets jaunes, comunque, godono ancora del sostegno di 2 francesi su 3 secondo un’indagine Odoxa-Dentsu Consulting pubblicata dal “Le Figaro”. Per il 69% degli intervistati il movimento è stato “abbastanza o molto giustificato, mentre solo il 13% dei francesi si dice contrario alle loro azioni “per niente giustificate”. Il 58% degli intervistati valuta positivamente i risultati ottenuti dai manifestanti. Al contempo il 64% dei francesi considera che il presidente Emmanuel Macron e il governo “non hanno sufficientemente tenuto conto” delle rivendicazioni del movimento.
Jacline Mouraud, una delle fondatrici del movimento, ritiene che una mezza risposta alle richieste dei gilets jaunes il presidente francese l’ha data “facendo quell’assegno da 10 miliardi di euro”. Ma le misure che ha annunciato non sono servite a far diminuire la tensione sociale. “In Francia c’è ormai troppa contestazione. Si contesta tutto ed è una situazione impossibile da gestire. Macron, poi, ha sbagliato. Non ha mai ricevuto i gilet gialli. Ormai la gente è contro Macron a prescindere”. Ma Mouraud ammette anche che ormai in Francia “siamo come nel cortile della scuola durante la ricreazione” e che ormai molti francesi “sono diventati peggio dei bambini. In questa situazione purtroppo sarà molto difficile raddrizzare la barra”.
Quello che serve ora “è continuare a contestare ma in modo rispettoso. Per me è stato un segnale positivo che gli imprenditori del Medef”, la Confindustria francese, “abbiano voluto ascoltarmi” nei mesi scorsi. “Perché la nostra salvezza arriverà da una riforma fiscale e dalle aziende che devono creare occupazione. Solo così ci salveremo. Bisogna ridare fiducia ai francesi, creare posti lavoro in una società in cui la parte del leone la fa la precarizzazione. Con il progresso ognuno vorrebbe la propria fetta della torta e questo mi sembra anche giusto”.
Rispetto all’autunno-inverno scorso, il movimento si è fortemente ridimensionato. Oltre alle concessioni da 17 miliardi di euro fatte da Macron (sacrificando gli impegni sui conti pubblici assunti con Bruxelles) anche il “Grande dibattito nazionale” che per mesi ha cercato di far discutere i cittadini su problemi e soluzioni del Paese non pare essere servito a molto. La Francia ha gli stessi problemi di prima. Il ceto medio si lamenta. La disoccupazione dilaga, le aziende chiudono.
Sarebbe il momento in cui si manifestasse un vero leader. I gilets jaunes non ce l’hanno. Facile immaginare una spaccatura nel movimento. Con la conseguenza di miriadi di piccole liste alle elezioni in vista delle presidenziali del 2022.
Intanto, per scongiurare una nuova rivolta sociale, Macron si è recato in provincia, nella regione della Marna, per illustrare i successi (ma quali?) delle sue riforme che, giunto a metà mandato, porta avanti con maggior cautela rispetto ai primi anni. Contemporaneamente, migliaia di camici bianchi hanno protestato a Parigi per la crisi degli ospedali e l’Eliseo teme la manifestazione indetta per il 5 dicembre contro l’annunciata riforma previdenziale. Chi pensa di festeggiare in questo fine settimana l’anniversario di un’epopea, s’illude. È stato un non vissuto pericolosamente al punto che più volte si è temuto per l tenuta della democrazia. Un anno segnato da violenze, con 2.400 manifestanti e 1.800 agenti feriti; 24 persone hanno perso un occhio a causa dei lanciatori Lbd, l’arma non letale data in dotazione alle forze dell’ordine francesi divenuta il simbolo delle “violenze della polizia” denunciate dai manifestanti. Undici sono stati i morti per incidenti a margine dei cortei. Al culmine della crisi, Eric Drouet, uno dei più scalmanati tra i capetti del movimento, annunciò l’intenzione di entrare all’Eliseo, mentre a dicembre, venne lanciato l’assalto all’Arco di Trionfo, con opere d’arte e vetrine andate in frantumi.
Anche l’Italia ebbe un ruolo non proprio commendevole nella vicenda. Luigi di Maio, vice-presidente del Consiglio dei ministri, accompagnato da Alessandro Di Battista, fece visita al controverso Christophe Chalencon suscitando una grave crisi tra Roma e Parigi, con il richiamo in patria dell’ambasciatore francese. Una precedente assoluto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ora Di Maio fa il ministro degli Esteri.
Nel maggio scorso, in assenza di una struttura e nell’impossibilità di riunire il movimento in un’unica lista, i gilets jaunes registrarono alle europee un flop di dimensioni colossali. Il movimento, infatti, rappresentato da alcune liste, raccolse meno dell’1% dei suffragi. L’Alliance Jaune guidata dal cantante francese Francis Lalanne ottenne lo 0,54% (circa 122mila voti) mentre “Evolution citoyenne” di Christophe Chalencon, raccolse la ben ragguardevole cifra di circa 2mila voti.
C’è poco da festeggiare. La politica è impazzita anche in Francia. I gilets jaunes sono il reperto di un fallimento che meriterebbe poche righe se non fosse che per mesi ha messo Macron e la Repubblica dura prova. Poi si è dissolto, come la neve che forse si poserà appena in queste ore tra Place des Vosges e i Jardin su Luxembourg.