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I giovani, gli anziani, il voto. Dieci anni di proposte analizzati da Massimiliano Atelli

L’idea di futuro che ciascuno di noi può avere non è impermeabile al fattore età. Cresce l’età, può variare l’idea. È umano, è così. Di qui ad arrivare alla proposta choc di Beppe Grillo di mettere in discussione il diritto stesso di voto delle persone anziane, però, ce ne corre.

Le reazioni suscitate dalla provocazione lanciata dal fondatore del M5S sono state vibranti, e la sensazione è che questo tema, scomodo e per nulla banale, si avvii, come tanti altri prima, ad annegare lentamente nel consueto schema di contrapposizione antagonistica (e, a tratti, muscolare e agonistica) fra le diverse forze politiche.
La questione, certamente scomoda, è per nulla banale, e per vero neppure inedita. Lo prova, intanto, il fatto che in campo restano da tempo proposte che, nel dare il senso di aver colto il tema, prospettano ipotesi solutive strutturate secondo impostazioni ben differenti. Anzitutto, nel non azzerare diritti costituzionali per alcuno.

Nel lontano (ma non troppo) 2011, la questione della sottorappresentazione dei giovani fu posta da Giulio Tremonti, in altra forma. Secondo l’ex ministro dell’economia, risultando sottorappresentati, i giovani dovevano poter votare due volte sia alla Camera sia al Senato. Allo scopo, presentò un disegno di legge costituzionale, a Montecitorio, nel quale si prevedeva che “a decorrere dall’entrata in vigore della legge e per le successive tre elezioni di Camera e Senato, gli elettori di età non superiore ai 40 anni abbiano il diritto di esprimere un duplice voto per ciascuna Camera”.

Diversificare il diritto di voto, lasciandolo a tutti, e dibattere la questione nella cornice di una riforma costituzionale, con il più articolato procedimento (eventuale referendum incluso) che è al riguardo previsto, per favorire la più ampia discussione. Il tema è lo stesso posto da Grillo, in sostanza, ma la soluzione è evidentemente differente.

Nutro anch’io la convinzione che le persone della terza età sono fra le colonne portanti del nostro modello di società, e che è per gran parte in forza del loro contributo (fattivo nel quotidiano, ma anche economico) che il crollo demografico di diversi Paesi dell’Occidente (nostro compreso, dove le politiche per le famiglie sono più predicate che praticate) non risulta ancor più devastante. Allo stesso tempo, non mi sfugge che la quota di over 65 è arrivata al 22,8% del totale della popolazione, quasi il doppio della popolazione under 14, pari al 13,7%, e che le uscite per assegni pensionistici sono state pari a 269 miliardi nel 2018 e nel triennio 2019-2021 si prevede un incremento di oltre 92 miliardi (dati Unimpresa).

Come creare un ponte, adeguato, fra presente e futuro è tema che esiste, dunque. Da affrontare mescolando e tenendo in equilibrio ragione e sentimenti, senza esaurire il ragionamento nei tecnicismi per esperti di welfare e di finanza pubblica. In questo quadro, è lecito domandarsi se ragionare anche intorno alla questione del voto sia un tabù.

Non ho una risposta compiuta, e invece molti dubbi, uniti a una sola convinzione: quella risposta va cercata.
In materia, colpisce che anche la Corte costituzionale, con una sentenza di quest’anno (n. 18/2019), abbia in qualche modo affrontato il tema, muovendo dal quesito concreto se fosse conforme a Costituzione la maggiore spesa corrente autorizzata nel contesto di una procedura di predissesto di un ente locale (procedura che per legge poteva durare addirittura un trentennio).

La Corte si è espressa in senso negativo, affermando che un arco temporale trentennale si pone anzitutto in violazione dell’equità intergenerazionale, perché carica sui futuri amministrati gli oneri conseguenti ai prestiti contratti nel trentennio per alimentare la spesa corrente. In secondo luogo, per quanto qui maggiormente interessa, perché il trentennio previsto dalla legge dichiarata incostituzionale si pone in violazione anche del principio di rappresentanza democratica, sottraendo agli elettori e agli amministrati la possibilità di giudicare gli amministratori sulla base dei risultati raggiunti e delle risorse effettivamente impiegate nel corso del loro mandato.

Anche per il giudice delle leggi, insomma, il tema del voto è dentro, e non fuori, dal campo dove si gioca la partita, essenziale, della ricerca di un modello accettabile di equità intergenerazionale.


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