Nessun rischio che l’Emilia Romagna passi alla Lega, ma il Partito democratico di Zingaretti deve diventare più assertivo, altrimenti rischierà di continuare a schiacciarsi sul Movimento 5 Stelle. La scissione di Renzi? Sicuramente ha indebolito Zingaretti, ma cambiare nome non lo aiuterà a rafforzare la sua identità. A crederlo è Piero Ignazi, politologo e docente di Politica Comparata all’Università di Bologna, autore di testi come “I partiti in Italia dal 1945 al 2018”, editorialista di Repubblica e già direttore della rivista Il Mulino.
Professore, il Pd si sta facendo schiacciare da M5S come ha detto Folli su Repubblica stamattina?
Il Pd non riesce a condizionare il Movimento 5 Stelle. L’idea iniziale era che con l’esperienza e con la classe dirigente e di governo che poteva mettere in campo, il Pd esercitasse una egemonia di fatto sul governo, in virtù della sua maggiore esperienza, miglior competenza, rapporti con gruppi, associazioni, mondo finanziario. Insomma, il Pd è stato partito di potere nella precedente legislatura, chiaramente ha delle risorse reputazionali che i 5 Stelle non hanno, ma non si riesce ancora a farlo pesare.
Per quale ragione?
La rottura di Renzi ha molto indebolito la capacità di pressione da parte del Pd, questo è indubbio. Zingaretti è molto più debole oggi di quanto non fosse ad agosto, ma questo per responsabilità di Renzi.
Zingaretti ha parlato di un congresso nel 2020 e della possibilità di cambiare nome. Cosa ne pensa?
È una pessima idea, non avrebbe alcun senso. È un segno di perdita di identità.
Quale strada si dovrebbe percorrere, nel Pd?
Zingaretti dovrebbe essere molto più assertivo, anche sul governo. Se non si è assertivi in una situazione come quella attuale si perde capacità di contrattazione.
Il territorio riassume la società, e l’ultimo voto territoriale – il voto in Umbria – dice che una regione rossa è passata a votare Salvini. Si rischia la stessa cosa in Emilia Romagna?
Assolutamente no, nessun rischio. La regione resterà a guida Pd.
Perché questa certezza?
Perché l’Emilia Romagna è stata ben amministrata, è una delle regioni più ricche d’Italia, coi servizi sociali migliori, con i consumi culturali più alti. Non si capisce da cosa potrebbe derivare una insoddisfazione così forte da cambiare governo. Non a caso questa primavera le elezioni europee hanno visto un buon risultato della Lega, ma quando si doveva votare contemporaneamente con i sindaci c’era un differenziale di 15-20 punti per cui i cittadini riconfermavano il buon governo dei sindaci del Pd.
Perché un elettorato storico della sinistra come classe operaia e ceti meno abbienti votano sempre di più Salvini?
Non sanno a che santo votarsi. Prima si sono votati ai 5 Stelle, ora a Salvini, non avendo più un loro rappresentante tradizionale che li ha difesi negli ultimi 15 anni e men che meno negli anni del governo Renzi. È chiaro che vanno a cercare altrove una protezione, un senso di identità. Questo è il risultato di una lunga serie di errori della sinistra di cui Renzi è solo l’ultima spallata, ma gli errori vengono da prima.
Da dove?
Gli errori arrivano da almeno 15 anni, possiamo anche identificare il momento nel conflitto tra D’Alema e Cofferati alla fine degli anni ’90 un momento topico del passaggio del Pd su una posizione non più laburista, ma sostanzialmente tutta spostata verso il ceto medio a discapito della rappresentanza degli interessi delle classi lavoratrici e le classi popolari in generale.
Pensa che ci siano margini per riavvicinarsi a quelle fasce di cittadini?
Se cambia politica sì, radicalmente. Non se ne vedono dei segni molto chiari, ma aspettiamo fiduciosi.