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L’imbuto Ilva-Mittal e i rischi cinesi della terza via (dell’acciaio)

Silvio Berlusconi ha proposto di immettere “soldi nostri” per uscire dall’imbuto in cui l’Ilva si è cacciata. I parlamentari pugliesi del M5s respingono il tentativo del premier Conte di ragionare sullo scudo. Nel mezzo la suggestione che la Via della Seta cinese si tramuti presto in Via dell’Acciaio, coinvolgendo anche il polo siderurgico di Taranto in questa grande operazione di invasività nel vecchio continente. Ma con il grande punto interrogativo relativo ad asset strategici e sicurezza nazionale. Per cui la nuova “guerra fredda e logistica” tocca siderurgico, infrastrutture, sicurezza nazionale: ambiti legati da un particolare fil rouge che sta innescando un dibattito anche guardando a cosa è accaduto al Pireo.

ILVA

C’è il rischio che la straordinaria emergenza rappresentata dalla cesura tra Accelor Mittal e Taranto possa vedere l’ascesa della Cina in un comparto altamente strategico per l’Italia come la produzione di acciaio? E come si potrebbe legare, anche in ottica 5G, una certa preoccupazione esterna circa l’invasività di Pechino nello stivale? Qualcuno pensa che dietro la proposta del Cavaliere (“entrare con nostri soldi”) stiano maturando anche alcune tensioni atlantiste sulle prossime mosse cinesi in Italia. Taranto ha un peso specifico non solo nel settore siderurgico (con quasi 10mila operai, oltre a quelli dell’indotto) ma anche in quello logistico, dal momento che il suo porto potrebbe rappresentare una sorta di secondo anello dopo Pireo, dove la Cina è presente con il colosso Cosco.

MEDITERRANEO

È la ragione per cui se da un lato circola con insistenza la vulgata che vedrebbe la Farnesina non ostacolare una possibile presenza cinese al posto degli indiani di Mittal, dall’altro andrebbero valutati con attenzione una serie di riverberi, non solo industriali ma anche di opportunità. La famosa “geopolitica di porti e infrastrutture” rappresenta un elemento nuovo all’interno del dibattito sulla globalizzazione e sulle strategie che investono il Mediterraneo.

Ancora una volta le mosse cinesi in Grecia e in Italia si intrecciano, non fosse altro perché distanti solo 80 miglia nautiche dalle due coste. La presenza cinese al Pireo ha finanche prodotto la reazione Usa che si dovrebbe concretizzare nella privatizzazione del porto greco di Alexandrupolis per bilanciare le mosse di Pechino (Pireo) e Mosca (Salonicco tramite l’oligarca Savvides). In Grecia di fatto si sta distendendo una nuova guerra (fredda e logistica) tra i colossi interessati a due scenari: osservare da vicino i nuovi gasdotti e avere un occhio vicino a Siria e Libia, con nel mezzo la Turchia di Erdogan che sta lavorando alla sua prima centrale nucleare grazie a Rosatom. E le infrastrutture connesse sono il punto di caduta.

SCHEMA

Cosa c’entra dunque Taranto? I porti italiani sono strettamente interessati alla Via della Seta in quanto sarà utile intercettare i maggiori traffici che potenzialmente potrebbero crearsi in Europa. Se il Pireo ha un vantaggio competitivo, visto che sia la proprietà che la gestione sono già cinesi, è pur vero che rappresenta una sorta di prova generale di ciò che potrebbe accadere anche altrove. Proprio in questi giorni il presidente cinese Xi Jinping è in visita in Grecia dove ha detto che vuole fare di Pireo il più importante porto non solo del Mediterraneo ma d’Europa, lanciando un segnale anche in ottica 5G, dal momento che pur piccolo come Paese, comunque la Grecia è entrata tra gli obiettivi di Huawei: lì infatti potrebbe attuarsi il “prossimo atto” della guerra cinese-americana che coinvolge il 5G.

Lecito chiedersi come potrebbe evolversi il dossier italo-cinese alla luce non solo della Via della Seta che investe il porto di Trieste, ma anche della cosiddetta Via dell’Acciaio in caso di coinvolgimento di Taranto.

twitter@FDepalo

 

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