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Ilva, perché l’Italia potrebbe perdere due volte. L’analisi di Pennisi

Il caso Ilva è nelle mani dei magistrati e degli avvocati. Una cosa è certa: quale che sarà l’esito della vertenza giudiziaria (che probabilmente si saprà tra qualche anno), i cittadini italiani, ossia l’Italia, ne uscirà perdente in termini di reputazione, di chiarezza delle normative, di interventismo dei tribunali e via discorrendo. Già nel caso Alitalia, per il quale l’eventuale cordata di “cavalli bianchi” dovrebbe presentare un’offerta vincolante entro il 21 novembre, Lufthansa si tirata indietro e pare che la stessa Delta preferisca non impegnarsi.

È duro investire in un Paese dove le norme cambiano rapidamente ed i magistrati intervengono per obbligare un’azienda che perde oltre 2 miliardi al giorno a continuare ad operare senza muovere foglia. Su questa testata abbiamo sollevato il problema della costosa galassia di sigle che, a spese dei contribuenti, si dovrebbero occupare della valutazione e la verifica degli investimenti. Tra queste ce n’è una alla Presidenza del Consiglio denominata Air (Analisi d’Impatto della Regolazione): per elementare ragione di trasparenza, si possono avere i rapporti di codesti superesperti sulla regolazione (o meglio il groviglio normativo) sull’iva e sul suo impatto? Se non li hanno mai scritti, cosa hanno fatto in tutti questi anni?

Ho suggerito che il governo faccia un ricorso all’Icsid (International Center for Settlement of Investment Disputes – Centro Internazionale per il Regolamento delle Controversie sugli Investimenti). È una camera arbitrale creata nel 1966 nell’ambito del gruppo della Banca Mondiale. Dispone di un segretariato di 40 persone, a carico della Banca Mondiale, e gli arbitri vengono nominati di volta a volta d’intesa tra le parti; il segretario fornisce elenchi con proposte di arbitri ed i loro curriculum professionale. Dalla sua creazione, l’Icsid ha risolto circa 450 casi, spesso nel giro di pochi mesi per ciascun caso. La documentazione sugli arbitrati è pubblicata on line ed anche in una rivista cartacea in modo da fare, per così dire, giurisprudenza e da fornire supporto a chi è interessato ad adire al centro. Dall’inizio di questo ventunesimo secolo, sono stati conclusi circa 3mila accordi bilaterali su investimenti che indicano specificatamente l’Icsid come “foro” per la risoluzione di controversie. Tuttavia, Stati ed imprese hanno la facoltà di ricorrere al centro anche se i contratti non vi fanno riferimento.

Un ricorso all’Icsid toglierebbe le castagne dal fuoco anche alle varie componenti del governo, che hanno posizioni molto distanti su come trattare il caso. Un paio di volte negli ultimi cinque, la Repubblica italiana ha concluso arbitrati, nell’ambito Icsid, con due imprese del settore energetico rispettivamente del Belgio e del Lussemburgo,e le loro sussidiarie basate nel nostro Paese. Anche ArcelorMittal ha concluso arbitrati presso l’Icsid con la Repubblica Ceca e l’Egitto in tempi relativamente recenti. Le parti in causa conoscono, quindi, le procedure. Il percorso potrebbe essere più breve e l’esito più soddisfacente di una lunga agonia nei tribunali.

Sarebbe meglio che il governo prendesse l’iniziativa al fine di giungere ad una soluzione spedita o, quanto meno, di condurre un negoziato con regole internazionali e con arbitri super partes. C’è altrimenti il rischio che sarà Arcelor Mittal a chiedere l’arbitrato per essere risarcita di danni causati dalla pasticciata situazione italiana. E potrebbe vincere.

L’Italia in tal caso perderebbe due volte. Dovrebbe sborsare il risarcimento a ArcelorMittal ed la sua reputazione ne uscirebbe a pezzi.

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