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L’Italia apprezza la cooperazione con l’Iran in Yemen. Peccato che…

È probabile che a latere della riunione odierna dei ministri degli Esteri della Coalizione anti-Isis a Washington sia stato chiesto conto a Luigi Di Maio dei rapporti con l’Iran e, forse, che oltreoceano non sia sfuggito l’incontro che uno dei suoi sottosegretari, il pentastellato Manlio Di Stefano, ha tenuto in questi giorni con l’ambasciatore dell’Iran a Roma, Hamid Bayat, per colloqui incentrati sui legami bilaterali e sugli ultimi sviluppi relativi all’accordo Jcpoa (di cui l’Italia è parte in quanto membro Ue).

Secondo Mehr, infatti, Di Stefano – ha ripreso l‘agenzia Nova – avrebbe espresso apprezzamento al diplomatico di Teheran per la cooperazione in Yemen. Tuttavia, l’Iran è accusato di essere complice dei crimini di guerra degli Houthi dall’Onu.

Questo un riassunto dei fatti: l’amministrazione statunitense ha raccolto le forze di alcuni Paesi alleati per creare tra le altre cose una coalizione che controlli i traffici marittimi lungo il Golfo Persico (l’Italia non ha voluto per ora prenderne parte). Una regione in cui i gruppi collegati all’Iran, probabilmente sotto coordinamento dei Pasdaran, hanno compiuto sabotaggi e attacchi contro il mondo del petrolio. Il più importante di questi è stato fatto ai danni di due centri di produzione sauditi, e ha messo in crisi l’intero settore. Lo hanno rivendicato proprio gli Houthi, i guerriglieri che con le armi iraniane hanno rovesciato, quattro anni fa, il governo yemenita.

La Repubblica islamica quando si parla di lotta allo Stato islamico è un elemento oggettivo: opera in Siria, territorio in cui è stato ucciso poco tempo fa il defunto sedicente califfo Baghdadi, così come in Iraq, dove lo Stato islamico aveva la sua roccaforte (a Mosul). In Siria si muove al fianco del regime, teoricamente sul lato opposto dell’Is, ma per farlo movimenta milizie sciite antagoniste ideologicamente dell’Occidente. Le stesse, per quella perdita di discernimento che diventa una guerra, sono alleate del governo iracheno e servono a combattere l’Isis quando si tratta di Iraq. Sono le stesse contro cui protesta il popolo iracheno; sono loro che separano dai tetti contro i cittadini (oltre 200 morti ammazzati in poche settimane di manifestazioni).

Quelle stesse milizie che hanno fatto da carne da cannone per riprendere Mosul e altre importanti città irachene dal controllo califfale — combattendo sotto l’ombrello di un raggruppamento dal nome molto politico (Forza di mobilitazione popolare) — sono uno dei grossi problemi per cui gli Stati Uniti hanno riavviato la durissima posture anti-iraniana di questi mesi. Tra le motivazioni per cui Washington è uscita dall’accordo sul nucleare Jcpoa c’è proprio il gioco di influenza che Teheran esercita attraverso questi attori terroristici. Dai gruppi come Hezbollah, in Libano, alle realtà irachene. Le stesse che compivano attentati contro le forze americane e occidentali quando negli anni dopo il 2003 combattevano i prodromi dell’Isis (al Qaeda in Iraq) — uno di questi attentati colpì il continente italiano a Nassirya.

Ora l’Italia deve spiegare cosa vuole fare con l’Iran. Per esempio, il governo di Roma ha avuto problemi con la Mahan Air, una compagnia sottoposta alla riattivazione delle sanzioni statunitensi (post ritiro dal Jcpoa) perché collegata alle attività dei Pasdaran — in particolare all’assistenza in Siria a gruppi paramilitari collegati all’Iran. L’Italia aveva permesso addirittura il raddoppiamento dei voli da Roma e Milano, mentre gli Stati Uniti chiedevano agli alleati di tagliarla fuori dai traffici sui propri cieli. Roma lavorava in controtendenza rispetto a Parigi e Berlino, ma poi s’è recentemente riallineata. Anche se ora si discute anche della presenza di Iran Air (e anche dell’incontro Di Stefano-Bayat).

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