Il consolato iraniano di Najaf, in Iraq, è ancora fumante. Dato alle fiamme ieri sera dai manifestanti iracheni che da settimane protestano con il proprio governo, e più in generale contro l’establishment. Gli iracheni sono stanchi delle proprie condizioni di vita. I giovani, protagonisti delle dimostrazioni, non vedono un futuro. Tra le varie questioni che contestano al sistema politico che li governa c’è l’aver perso credibilità e sovranità, acquisendo una posizione di vassallaggio nei confronti dell’Iran.
L’Iran nelle proteste irachene ha cercato di giocare un ruolo da protagonista. Il generale che comanda l’unità d’élite Quds dei Pasdaran, Qassem Soulimani, ha cercato di gestire personalmente il dossier. È stato più volte a Baghdad nell’ultimo mese, ha mosso le sue leve. D’altronde è lui che ha messo in atto, e in parte pianificato, la strategia con cui la Repubblica islamica s’è diffusa a cavallo della regione mediorientale. Un rafforzamento notevole, che ha sfruttato il dilagare di partiti/milizia che hanno costruito forza e influenza, aiutati dall’Iran, all’interno dei propri stati. Il modello è quello dei Pasdaran, appunto: la completa penetrazione socio-politica ed economica. Il risultato di maggior successo in Libano, con Hezboah arrivata a decidere e muover pedine sulle scelte per le massime cariche del Paese. Ma anche in Iraq ha ben attecchito, con svariati di questi corpi politico-paramilitari che si muovono su consiglio dei Pasdaran e dunque della Guida suprema.
Se il piano funziona dal punto di vista dei risultati per l’Iran — che gestisce questi vettori di potere in Libano, Iraq, Siria, Yemen — non si può dire altrettanto dal punto di vista dei cittadini che lo subiscono. Le foto di Soulimani sono state bruciate per le strade irachene, e stessa sorte è toccata a quelle della Guida Ali Khamenei e all’idolo Khomeini. Mentre la folla cantava “fuori l’Iran dall’Iraq”. La questione di sovranità si mescola col clima avvelenato creato dai gruppi filo-iraniani. Si tratta di realtà settarie che detestano i sunniti; e non a caso i giocatori iracheni due settimane fa festeggiavano la vittoria sulla nazionale iraniana cantando “siamo tutti fratelli, siamo tutti iracheni”.
Le milizie sciite sono le stesse che hanno combattuto l’IS, e per questo hanno avuto in dote l’inquadramento della Forza di mobilitazione popolare, (il grande ombrello dal nome perfetto per il maerketing politico) nelle forze di sicurezza. Un punto in più sul potere militare. Ma sono anche le stesse che hanno abusato dei sunniti in passato e pure nelle fasi di liberazione dai baghdadisti. Sono realtà che hanno imposto con la forza delle armi e della corruzione il clientelismo, la visione settaria, un sistema interno alterato. Quando lo Stato islamico ha iniziato la sua scalata tra le menti degli iracheni ha attecchito anche grazie alla condizioni prodotte dal dilagare di questi corpi ideologici collegati all’Iran. La Badr Organization, la Kata’ib Hezbollah, la Lega dei Giusti per dirne alcuni: sono state protagoniste anche dell’insurrezione terroristica contro la campagna americana dopo l’invasione e del 2003; centinaia gli attentati contro le forze occidentali.
Ora il sistema tanto funzionale a livello di vertice e diffusione fa acqua alla base, tra la gente. Inaccettabile per l’Iran, che ha investito fondi enormi per crearlo e sostenerlo — basta pensare che le milizie irachene ed Hezbollah hanno fatto da carne da cannone per mantenere in piedi il regime siriano. E problemi all’enorme piano di diffusione per Teheran sono insostenibili. Tanto più se si sommano a quelli in Libano. Secondo le informazioni disponibili, sono stati i cecchini delle milizie a sparare contro i manifestanti iracheni. Dozzine e dozzine di morti, con cui Soulimani ha cercato di soffocare la protesta.
Il fuoco al consolato di Najaf è iconografico. La città è un simbolo dello sciismo, la corrente musulmana di cui l’Iran è riferimento e protettore internazionale. Najaf ospita il mausoleo del primo imam, Ali, ed è terza dopo la Mecca e Medina per numero di pellegrini accolti ogni anno. A Najaf ha seguito gli studi sacri l’ayatollah Khomeini, padre della rivoluzione islamica e dell’Iran per come lo vediamo oggi. Se brucia il consolato iraniano brucia qualcosa di più dell’edificio, insomma.
Questo piano geopolitico a cavallo del Medio Oriente non è apprezzato nemmeno dai cittadini iraniani, che in questi giorni sono scesi in piazza per protestare contro l’aumento del costo del carburante contestando alla leadership i tanti soldi spesi per le campagne estere mentre il paese ha condizioni economiche delicatissime e prosperità in deterioramento. La Guida ha imposto da subito la chiusura di Internet per evitare che all’estero circolassero le immagini di ciò che stava succedendo, anche con il fine di evitare effetti contagio regionali da sommarsi alle situazione già in corso in Libano e Iraq. Contemporaneamente Khamenei ha scelto la repressione. Dalle immagini che sono iniziate ad arrivare negli ultimi due giorni si capisce perché Teheran ha creato questa cortina fumogena: in strada le forze di sicurezza sparano contro i manifestanti, e le organizzazioni per i diritti parlano di centinaia di morti.
(Foto: Twitter)