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Con la Cina niente pranzi gratis. Il monito di Joshua Wong a Di Maio

“L’Italia può aiutare a evitare una nuova Tienanmen”. La voce è un po’ disturbata ma il messaggio è chiarissimo. Il volto di Joshua Wong appare sullo schermo della sala stampa del Senato. A vederlo così, con gli occhiali, la frangetta e una piccola libreria bianca alle spalle, sembra un adolescente qualsiasi. Di anni, in effetti, ne ha solo 23.  A parlare di fronte una nutrita platea di cronisti non è però un semplice studente universitario, ma il leader delle proteste a Hong Kong, segretario del partito Demosisto, in cima alla lista dei nemici pubblici del governo cinese.

Dalla sua camera a Formosa il giovane che in questi mesi ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone, soprattutto studenti, contro la repressione di Pechino, interviene su invito del Partito radicale italiano e di Fratelli d’Italia, in prima linea nella battaglia per i diritti umani a Hong Kong. Al tavolo c’è la radicale Laura Harth, sua conoscenza dal 2014, quando l’allora sì adolescente Wong prendeva parte alla “rivoluzione degli ombrelli”. A condurre il senatore di Fdi e vicepresidente del Copasir Adolfo Urso, affiancato dall’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, i colleghi Andrea Del Mastro, Federico Mollicone e Isabella Rauti, e dai parlamentari Enrico Aimi e Lucio Malan (Fi), Valeria Fedeli (Pd). Per la Lega il senatore Giuseppe Basini. In prima fila c’è anche il capo della rappresentanza di Taiwan in Italia, Andrea Sing-Ying LEE. Una presenza discreta, ma significativa: in questi giorni per le strade della capitale dell’isola Taipei risuona il motto “oggi Hong Kong, domani Taiwan”, come ha testimoniato il leghista Gian Marco Centinaio, reduce da una missione con una delegazione parlamentare italiana.

In Italia Wong doveva venirci di persona. Era tutto pronto per la trasferta, quando le autorità di Hong Kong gli hanno negato pretestuosamente l’“espatrio”, costringendolo a rimanere in casa. “È come stare in carcere, ma molto peggio, perché mi è tolta la libertà di espressione” confida lui a Palazzo Madama. Il divieto caldeggiato da Pechino non gli ha impedito di partecipare, via Skype, ai due eventi dove era atteso. A Milano, alla Fondazione Feltrinelli. E al Senato, nel pomeriggio. Un appuntamento, quest’ultimo, particolarmente ambito, confessa Wong. Perché denunciare la repressione cinese dentro le mura delle istituzioni italiane ha tutto un altro significato.

Certo, è solo una conferenza stampa, ma è un inizio. Ci si sarebbe aspettati, affonda il leader delle proteste, una presa di posizione del governo. “Sono molto deluso dalle parole indifferenti pronunciate dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio sulla non ingerenza nelle violazioni dei diritti umani a Hong Kong – dice accolto da un applauso corale – l’Italia dovrebbe prenderne coscienza”. E invece da un anno a questa parte i rapporti fra Roma e Pechino proseguono a gonfie vele, indisturbati dalle notizie che provengono dal “Porto Profumato”. “Voglio lanciare un chiaro messaggio a Di Maio – chiosa Wong – non esistono pranzi gratis. L’Italia non dovrebbe dipendere troppo dagli interessi economici cinesi, soprattutto dalla Belt and Road Initiative (Bri), che altro non è se non una strategia cinese per influenzare gli altri Paesi. Anche noi ci siamo accorti troppo tardi del controllo che Pechino esercita sulla nostra economia”.

Due eventi recenti strappano un sorriso al giovane attivista, e lo invitano a proseguire nella battaglia. Il primo è il clamoroso successo alle elezioni dei Consigli distrettuali domenica scorsa: con una partecipazione record i candidati democratici hanno conquistato l’86% dei 452 seggi. “È un messaggio politico al mondo – spiega Wong, che è stato escluso all’ultimo dalla lista dei candidati per mano della Commissione elettorale– il popolo di Hong Kong sta con i manifestanti e chiede elezioni libere, che Pechino ci nega dal 1997”.

Il secondo, ancora più clamoroso, è la firma del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sul “Decreto sui diritti umani” votato all’unanimità dal Congresso, una legge che prevede dure sanzioni contro il governo cinese per la violazione dei diritti umani a Hong Kong e rischia di inserire definitivamente un cuneo nei rapporti, commerciali e non solo, fra Washington e Pechino. Il provvedimento vieta inoltre alle aziende americane di vendere alla Cina prodotti che sono dati in dotazione alla polizia cinese, come i lacrimogeni, lanciati a migliaia contro i manifestanti nell’isola in rivolta. L’Italia deve seguire l’esempio, è l’invito di Wong: “Faccio un appello ai leader italiani, oltre alle condanne riconsiderino i legami economici con un regime brutale e sospendano le vendite di veicoli utilizzati dalla polizia cinese, tenga fede alle promesse contenute nei Trattati fondativi dell’Ue”.

Al di sotto dello schermo, nella sala Nassyria, ferve il dibattito politico. Più di una stoccata viene lanciata al Movimento Cinque Stelle e alla progressiva “cinesizzazione” di cui è accusato. “Beppe Glillo dov’è?” scherza Mollicone dalle prime fila. La sala applaude gli scherni, si astiene Fedeli, senatrice dem ed ex ministro dell’Istruzione. Il suo partito ha iniziato a prendere le distanze dalle virate cinesi dei Cinque Stelle, ma con loro è ancora al governo. La prossima settimana la Commissione Esteri della Camera, e a seguire quella del Senato, presenterà una mozione pro-manifestanti di Hong Kong. Fra i primi firmatari c’è anche la dem Lia Quartapelle. “Imbarazzo? No, noi abbiamo le idee chiare, forse i Cinque Stelle sono in imbarazzo – spiega a margine dell’evento Fedeli a Formiche.net – sui diritti umani non ci possono essere esitazioni. Che loro siano convinti o meno, presenteremo comunque la risoluzione”.

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