L’ordine, da parte del presidente Trump, di abbandonare il più rapidamente possibile il territorio siriano ha portato, a metà dell’ottobre scorso, al rapido riempimento dei vuoti lasciati dalle forze Usa da parte dei militari russi. Certo, sono rimasti operativi dei corpi speciali Usa, ma la finalità strategica è evidentemente carente. Ai bordi del corridoio di circa 32 chilometri dalla linea di confine tra la Turchia e la Siria, ormai l’esercito di Bashar el-Assad controlla Manbiji, all’inizio dello spazio di comporto richiesto dai turchi, poi fino ad Ayn Issa, e infine raggiunge Tel Amer e poi ancora, in continuità, fino a Qamishli. Sotto questa linea ci sono solo i curdi Ypg e Pkk, di cui è arduo, in effetti, separare la militanza.
Quando Assad ha ripreso il controllo, con il determinante aiuto russo, della Siria del Nord-Est, Putin era comunque in un giro diplomatico tra l’Arabia Saudita e gli Emirati. Nessuno dei tradizionali alleati sunniti degli Usa ha peraltro gradito, e usiamo un eufemismo, la rapida acquiescenza americana e l’accordo leonino di Ankara con gli Usa, così infatti è stata letta, a Riyadh e negli Emirati, la politica siriana e curda di Washington a Ankara. Che è letta, dalle potenze sunnite, proprio la Turchia, come un pericoloso effetto collaterale della Fratellanza Musulmana, e questo almeno da parte dei sauditi, o anche come una wild card geopolitica da parte degli Emirati.
E questo accade anche per quelli, come il Qatar, che sono da sempre amici interessati dell’Ikhwan, i Fratelli Musulmani.
Inimica a Dio e ai nemici suoi, questo è il futuro, rebus sic stantibus, della strategia globale turca. O si lega alla Russia, e alle condizioni di Mosca, o rimane sola nel nuovo grande Medio Oriente, privo ormai di sostegno da parte degli Usa. I sunniti che contano, quelli della Penisola Arabica, l’ Al Jazeera, appunto, hanno capito il controcanto nordamericano e sono già in cerca di nuovi alleati. Da soli non ce la fanno, ecco la Russia, quindi. “La Russia è la mia seconda casa”, afferma astutamente il principe Mohammed bin Zayed della casa regnante di Abu Dhabi, ma la fuga dei soldati Usa ordinata da Trump è davvero un punto di svolta strategico, morale e storico.
I curdi, traditi in no time dagli Usa, hanno immediatamente trattato, e poi raggiunto, un buon accordo con Assad, mediato solo dai russi e organizzato soprattutto dalle fazioni sciite della nazione curda, presenti soprattutto in Iraq. E con ottimi rapporti con l’Iran. La Siria, ovvero il posto dove la Turchia vuole entrare per evitare il nesso strategico tra curdi siriani, curdi anatolici e curdi iracheni, il che costituirebbe uno stato curdo capace di annientare il resto della popolazione etnicamente turca, ha bisogno di un alleato che “tenga ferma”, come diceva Machiavelli della Francia, la Siria come una solida entità unitaria, curdi compresi. Putin vuole stare ancora in Siria, perchè spera che, in futuro, la Turchia abbandoni la Nato e divenga alleata periferica di Mosca. Un sogno impossibile? Non è detto.
Ankara potrebbe anche aderire: al progetto di Mosca: l’Alleanza Atlantica è ormai un relitto di una guerra cessata settanta anni fa, che non ha mai sostenuto la Turchia se non nella lunga sequela dei golpe militari, dal 1961, poi nell 1980, poi ancora nel 1997; e infine, nel cambio di guardia che ha visto tutti i Paesi mediterranei della NATO defenestrare la propria classe politica, i turchi se la sono vista con l’Akp, un partito che nasce dalle ceneri di una organizzazione islamista che era stata proibita dalla Corte Costituzionale turca. I Fratelli Musulmani, agenti degli Usa, anche nella segreteria della Clinton, per “portare la democrazia”, ovvero la loro, in tutto il mondo islamico. Un capolavoro a rovescio.
Solo chi è ricattabile, attualmente, dopo la fine della “guerra fredda”, sale al potere. Ecco il passaggio dei poteri in Italia, in Medio Oriente, ma anche in America Latina e perfino in Asia. Putin oggi vuole, insomma, che la Turchia abbandoni la Nato, per iniziare una collaborazione con Mosca nell’Asia Centrale e, soprattutto, una collaborazione nel grande business futuro, quello delle pipelines dall’Asia all’Europa. Il Corridoio di Mezzo favorisce, se organizzato dalla Turchia, la Belt and Road cinese.
C’è poi la Baku-Tbilisi-Kars, la ferrovia aperta nell’ottobre del 2017, ma poi abbiamo ancora il porto del Turkmenistan sul Mar Caspio, costruito da aziende turche collegate strettamente alla Presidenza di Ankara; e che è operativo dal 2018.
La Turchia ha avuto, fin dal 1992, il segnale, da parte delle potenze occidentali, di dover unicamente divenire il bastione, laico-sunnita, contro l’Iran. Nel 1993, Ankara ha anche fondato l’Alleanza per la Cultura Turca, mentre, nel 2009, il regime turco ha fondato il Consiglio di Cooperazione degli Stati di Lingua Turca. Ormai, per Ankara, l’idea primaria è quella di essere un “potere centrale” che, comunque, opera liberamente in Asia e, in ogni caso, fuori dagli interessi dell’Alleanza Atlantica. Ed proprio questo che piace a Vladimir Putin. L’energy mix turco è comunque legato al gas naturale. Ankata lo importa dalla Russia, dall’Azerbaigian, oltre che dall’Iran.
Se si realizza il progetto Tanap, Trans-Anatolian Gas Pipeline, allora il collegamento energetico della Turchia dai Paesi dell’Asia Centrale sarebbe oggettivamente più importante del vecchio link con gli Usa e la Nato. Ed è qui che Mosca potrebbe essere una carta importantissima, per Ankara. Putin, comunque, ha favorito il collegamento e la comunicazione operativa tra le forze di Assad e le milizie “turcomanne” legate a Ankara. Non vi è canale di comunicazione che i russi non comandino, nel grande medio oriente. D’altra parte, se si va in guerra, e in Medio Oriente, contro un “cattivo” occidentale tipico dei fumetti, questo è l’unico risultato possibile. Che il tuo lavoro lo fa il vecchio nemico.
Poi c’è la rivolta in Iraq, che riguarda la corruzione, l’inefficienza e l’irrilevanza del governo. Finora, siamo arrivati a oltre 200 vittime, con almeno 6000 feriti. Si dice che l’Iran abbia fornito snipers per colpire la folla, ma non ci sono le prove. La milizia Asaib ahl-Al haq, ovvero la rete sciita di Al Ghazali, che ha già operato in Siria, è stata vista operare nche in Iraq e, spesso, ha subito forti reazioni negative da parte della popolazione locale. Intanto, Mosca sta organizzando accordi con tutti i Paesi del Medio Oriente, accordi che riguardano l’energia, ovviamente, ma anche i media, e soprattutto la Tv, poi le infrastrutture e le Forze Armate. Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha ospitato il suo corrispondente iraqeno Mohammed alì al- Hakim nel gennaio 2019.
Gli investimenti in Iraq da parte dei russi, recentemente, hanno superato i 10 miliardi di dollari, mentre la Russia ha cancellato un vecchio debito iracheno di 12,2 miliardi di dollari in cambio di un nuovo contratto petrolifero da 4 miliardi di dollari, che offre a Mosca la possibilità di affacciarsi sul West-Qurna 2, uno dei più grandi campi petroliferi al mondo. Lukoil e Gazprom Neft sono entrate ufficialmente nel mercato petrolifero del Kurdistan iraqeno nel 2012, aprendo la strada a molti nuovi contratti. Mosca ha inoltre finanziato direttttaente il governo del Kurdistan, con un prestito di 3,5 miliardi di Usd, che saranno ripagati con il petrolio ceduto alla Russia Rosneft, appena questo sarà possibile.
Nell’ottobre 2013, la Russia ha venduto al mondo curdo in Iraq e in Siria 4,3 miliardi di Usd in armi, in sostituzione di quelle dell’Iraq, e qui si tratta di finanziamenti che rendono autonoma, anche strategicamente, la Rojava curda rispetto a Baghdad. Il vecchio centro operativo di intelligence aperto dai russi a Baghdad, tra gli stessi russi, l’Iran, i siriani è ancora molto attivo. E opera anche, ormai, nelle operazioni di tipo geo-economico. Nel settembre 2018, si è anche riaperto il Centro Culturale Iraqeno-Russo a Baghdad, già chiuso nel 2003. Comunque, in Iraq, Mosca non vuole mai competere con l’Iran, e inoltre Teheran e Baghdad lavorano molto bene anche con la Cina.
Ci sono 1,7 miliardi di interscambio tra l’Iraq e la Federazione Russa, che vanno comunque a coprire i 30 milioni Usd di debito che Baghdad detiene ancora con la Cina.
Il 21 ottobre 2019, poi, Putin ha ricevuto Erdogan a Sochi, e dopo sette ore di discussione il piano bilaterale turco-russo è tale da diminuire ancora il ruolo degli Usa, mentre aumenta grandemente quello russo.
Ed è una prosecuzione, tutto ciò, della riunione tra Russia, Turchia e Iran ad Astana, avvenuta il 16 settembre ultimo scorso. Mosca vuole, nel quadrante siriano, diluire le forze di sicurezza di Teheran ancora presenti in Siria, utilizzando sia la freddezza iraniana sulla presa siriana di Idlib, che la tradizionale tendenza di Teheran a rimanere, con le sue forze, sul confine tra Iran e Siria. E ad operare soprattutto, l’Iran, in favore del corridoio tra la capitale sciita iraniana e il Libano meridionale.
A Mosca, questa cosa non interessa molto. Inoltre, la Federazione Russa vuole che i turchi disarmino rapidamente le loro milizie jihadiste a Idlib, soprattutto hayat ahrir al Sham, per poi arrivare ad un pieno controllo, da parte dell’alleato Bashar el Assad, dell’area di Afrin, il punto-chiave del confine Nord siriano e, soprattutto, del rapporto militare tra Turchia e Siria.
Per compensare questo dissapore con Turchia, Iraq e magari Iran, Mosca sta operando accordi con la più importante leadership sunnita. La questione è più ampia: Libano e e Iraq fanno ormai parte integrante del “processo di Astana”, dai primi di agosto 2019.
Mosca ha anche prospettato un accordo triangolare tra Libano, Siria e Russia per il solo rimpatrio dei rifugiati siriani, e, se l’Iraq riesce a ritagliarsi un ruolo credibile di mediatore tra Iran e Arabia Saudita, allora Mosca potrebbe creare un duopolio futuro, con Baghdad, in Siria, per evitare la “manomorta” iraniana e la pressione jihadista e sunnita ai confini del regime di Bashar el Assad.
L’altra carta della Federazione Russa è, non sembri strano, l’Egitto e gli Emirati. Tutti questi Paesi hanno riaperto, non è un caso, i canali diplomatici con la Siria. Mosca vede l’Egitto come partner affidabile in Siria, visto anche il lungo sostegno, da parte del Cairo, per Assad.
C’è anche a disposizione il “Dialogo due più due” tra Egitto e Russia, un accordo tra i ministeri dela Difesa e degli Esteri di entrambi i Paesi. Ed è ovvio, lo diciamo tra parentesi, che questo accordo vale per la Siria tanto quanto vale per la Libia. E sarà Il Cairo a sostenere direttamente, nel prossimo futuro, i “contractors” russi 5recentemente resi operativi in Cirenaica e nel Fezzan libici.
Nel frattempo, l’occidente raccoglie, tristemente, le margheritine dei tanti e inutili cessate il fuoco.
Nel dicembre 2018 gli Emirati hanno riaperto la loro ambasciata a Damasco.
Nel frattempo, Mosca vende sempre armi evolute all’Iran. E non è escluso che, essendo ormai gli Usa fuori da quel quadrante, salvo che per “mostrar bandiera”, l’Iraq non chieda ufficialmente a Mosca di organizzare dei raid aerei sulle reti dell’Isis, ancora in gran parte operanti fuori dal vecchio “stato islamico”, presenti oggi tra Siria e, appunto, Iraq.
Putin favorirà, in ogni caso, l’accesso dell’Iran alla “Unione Eurasiatica”, mentre la Russia, dice sempre Putin, farà di tutto per minimizzare i rischi collegati sia alla geopolitica dell’Iran che per il mercato energetico globale. Ovvero, il leader russo eviterà di abbhassare i prezzi anche in presenza di un mercato, piuttosto rapsodico comunque, dello shale oil and gas canadese e nordamericano. E non solo.
Ma i russi vogliono normalizzare anche le relazioni con gli Stati Uniti, ed è importante la loro mediazione tra Teheran e Washington, ma soprattutto l’idea che ogni area di produzione energetica ha, e può mantenere, un suo mercato ottimale, senza eccessive sovrapposizioni tra venditori.
Quindi: Putin medierà tra tutti i players del Grande Medio Oriente, cercando di distribuire la carte tra investimenti nella ricostruzione siriana e le nuove vie del mercato petrolifero e gaziero in Europa, poi la Russia creerà alleanze ad hoc per limitare l’uso delle armi nella regione e, infine, cercherà di proteggere Israele, il suo futuro pivot nell’area, equilibrando tra sunniti e sciiti, e giocando la Siria come base di comunicazione economica tra tutti.