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Alla ricerca del bene comune. La rivoluzione in Libano raccontata da Cristiano

venerdì

Si avvicina il 22 novembre, festa nazionale libanese, con tanto di parata militare, come ovunque, ma nel cortile interno del ministero della Difesa. Così in Libano è evidente che la domanda dell’oggi è quella posta dal cosiddetto duo sciita, Hezbollah e Amal, il partito dello speaker della Camera, l’intramontabile Nabib Berri. È successo infatti che ieri un nutrito numero di libanesi ha manifestato davanti alla Camera per impedire l’ingresso dei deputati che erano chiamati a votare d’urgenza dei provvedimenti che secondo i manifestanti avrebbero garantito l’impunità a molti malversatori, o fruitori irregolari di denaro pubblico. L’esercito, stando a quanto riferito dall’autorevole organo di informazione al-Joumuriah, sarebbe finito nel mirino dei duo sciita perché più preoccupato di garantire i manifestanti che i deputati, chiamati secondo la piazza alla tutela di quella che in Libano quasi tutti chiamano “la cupola”. Dunque la festa di quale Repubblica si festeggia il prossimo 22 novembre? Quella della “cupola” o quella della piazza?

Ai milioni di libanesi che da 35 giorni manifestano in piazza contro un sistema definito mafioso e corrotto e chiedono un governo di tecnici, il presidente Aoun, maronita molto stimato da Hezbollah, ha già risposto: “Il prossimo governo rappresenterà i partiti politici”. Quindi la “cupola”, si saranno detti i manifestanti. La “cupola” infatti, pendendo ora da una parte o dall’altra del sistema politico libanese, riguarderebbe tutto il sistema. Riguarderebbe chi è con l’attuale tendenza prevalente, la filo-iraniana, sia chi è contro. Un classico esempio è il premier saltato prima ancora di essere designato, Safadi. Amico degli uni dopo aver militato con gli altri. Un uomo d’affari. È stata la piazza, sunnita, sciita, cristiana, drusa e così via, a farlo saltare prima ancora che venisse ufficialmente designato.

La “cupola” sarebbe la derivazione “moderna” del sistema tribale che tormenta il Libano da quando tenta di uscire dal suo servaggio. I partiti sono personali, clanici. Poi hanno un orientamento politico: per esempio quello oggi prevalente tra i cristiani, il FPM dell’ex generalissimo Aoun. Durante la guerra civile lui fu l’araldo dell’avversione ai siriani, rappresentava quel tipo di indipendentismo libanese che non apprezzava i metodi brutali di Damasco, i diktat e la colonizzazione. Ora al contrario è il suo grande alleato. Altrettanto può dirsi di molti soggetti politici, in cui gli interessi del leader diventando la linea politica degli aderenti. E nei palazzi però tutti “amministrano” insieme. Come in casi e atlanti, a partire dalla questione energetica, che costa miliardi quando potrebbe costare milioni.

Questa malattia però ha creato anche la medicina. Il confessionalismo politico ha perso nelle piazze proprio per questo. La rivoluzione di velluto che vive in questi giorni il Libano è la rivoluzione dei cittadini. Al di là della loro appartenenza confessionale i libanesi scoprono di essere uniti nella richiesta di “bene comune”, di competenza e tanto altro: in una parola di cittadinanza. Se i siriani hanno accolto negli anni passati, prima del conflitto, due milioni di profughi iracheni, oggi i libanesi si trovano al proprio fianco i profughi siriani che non stanno accogliendo fraternamente, e dopo un po’ stupore per la prima volta dal 2011 esibiscono cartelli di solidarietà, di fratellanza con loro. Perché hanno capito che il male di cui sono vittime è lo stesso: “la cupola”.

Così viene da chiedersi come mai Hezbollah e Amal abbiano contestato la linea tenuta da esercito e forze di sicurezza quando, proprio ieri, per la prima volta sono stati arrestati alcuni cittadini libanesi per il reato di partecipazione a presidi stradali con blocchi e quant’altro. Il presidente dell’associazione degli avvocati libanesi è rimasto tutta la notte davanti alla caserma, fino al loro rilascio. Era il candidato che nessun partito voleva, il candidato della piazza. Ora si aspetta di capire chi festeggerà il 22 novembre in piazza: il popolo o quella che in Libano chiamano “la cupola”?



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