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Tre (buone) ragioni per riflettere sulla riforma del Mes. I consigli di De Mattia

Più che pericoloso, l’accordo intergovernativo sul Meccanismo di stabilità non va assolutamente bene. C’è infatti un paradosso di fondo. E cioè, se l’Italia avesse bisogno di un prestito da parte del Meccanismo, questo più che alleggerire la situazione la complicherebbe ulteriormente. Se infatti un Paese ha un debito sostenibile, ottiene gli aiuti. Ma perché un Paese in buone condizioni dovrebbe chiedere un prestito? Se, al contrario, un Paese che non è in buone condizioni finanziarie deve chiedere un prestito, dovrà sottoporsi a una ristrutturazione del proprio debito. La quale non è letteralmente presente nel testo, ma comunque c’è, nella sostanza. In sintesi, il ricorso ai finanziamenti del Meccanismo serve a tentare di superare le difficoltà di un Paese il quale, però, proprio per le difficoltà in cui si trova non può essere ammesso ai prestiti. Bensì occorrerà che si sottoponga a rigoristiche condizioni, le quali probabilmente accentueranno, quanto meno nel breve termine, le difficoltà.

C’è un altro aspetto dell’ipotesi di accordo per la riforma sul Mes, che ci deve spingere a riflettere sulla necessità o meno di sottoscriverla: il ruolo dei privati. Mi riferisco al loro concorso all’eventuale ristrutturazione del debito, qualora questa sia imposta, in considerazione della sua non sostenibilità, dallo stesso Mes e dalla Commissione Ue. Questo passaggio deve essere in qualsiasi modo rimosso. Ancora, va detto dell’aspetto istituzionale del Mes. Un organismo che non gode della legittimazione democratica e che non è eletto da nessuno, per di più non è collegato con altri organi che a loro volta non sono rappresentativi di nessuno. E alla fine questo Mes diventa una specie di intermediario privato, senza nessun aggancio democratico.

E allora, si vuole dai sostenitori della ferrea intangibilità dell’accordo sul Mes, una specie di bail-in per il debito pubblico? C’é materia per rivedere l’intesa, non c’è dubbio. Il problema è che il ministro Gualtieri, pur essendo la sottoscrizione slittata da dicembre a febbraio, ritiene ormai definitivamente immodificabile la riforma. Ma ci si chiede se alla luce di tali pericoli valga la pena sposare la linea dell’irremovibilità. Costituirebbe una resa senza condizioni non tentare neppure, mettendo in atto tutte le azioni, anche diplomatiche, possibili, per rivedere una parte importante dell’intesa in questione. Sarebbe un atteggiamento rinunciatario che rivelerebbe una grave subalternità. Lunedì il premier Conte riferirà in Parlamento. Finora ha mostrato segni di apertura rispetto alle rigidità di Gualtieri. Speriamo che dia seguito.


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