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Sulla riforma del Mes Moscovici chiude la porta all’Italia

“La mia porta era sempre aperta”. Pierre Moscovici scherza e coniuga al passato la classica formula che utilizzava ogni volta che gli veniva chiesto a che punto sono le trattative con l’Italia sulla Legge di Bilancio. Il commissario agli Affari Economici uscente ha scelto Roma per la sua ultima missione da membro dell’esecutivo europeo. Dice di amare l’Italia e per il futuro si dice sicuro che non ci sarà un’Italexit: “L’Italia è essenziale per l’Europa e l’Europa è essenziale per l’Italia”. Incontrando la stampa nella sede dell’Ue scherza sul codazzo di giornalisti che lo ha costantemente seguito in questi quattro anni (“ora che non ci sono più non mi resta che fare gli scatoloni”). E di rimando, fuori dai microfoni, i giornalisti italiani spiegano il perché di tanta assiduità. Moscovici, guardiano dei conti europei, ha sempre dato un titolo. Quasi sempre una frecciata all’Italia magari accompagnata da aperture e attestati di stima.

Aveva evidentemente in programma un appuntamento finale improntato all’amicizia. Gli incontri con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, poi il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, senza dimenticare il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. Ma la festa è stata rovinata dallo scontro sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità. E qui il messaggio al governo italiano non è una porta aperta.

Moscovici dice di averne parlato con il premier e con il ministro. Ma di non avere parlato di eventuali emendamenti dell’Italia al testo. “Non ho trattato questa questione”. Come la pensi su questo punto, dirimente per il dibattito politico italiano, lo spiega sottolineando che “l’accordo sul testo è stato raggiunto a giugno anche dal precedente governo italiano malgrado ci fossero al governo persone che oggi ne parlano in modo diverso. E che si tratta di un accordo internazionale”.

Questo ultimo passaggio dovrebbe essere quello che mette un sigillo alla questione. Il Meccanismo di stabilità, l’Esm, non è una filiazione dell’Unione europea, ma un fondo che nasce appunto da un trattato multilaterale tra paesi dell’Eurozona. La riforma stessa è una modifica a un trattato. La Commissione c’entra poco e comunque apprezza il “compromesso”. L’altro messaggio di Moscovici è: i trattati non si possono cambiare all’ultimo momento. Il non detto è che la posta in gioco di un eventuale no (sempre possibile dal punto di vista formale e più che probabile quando si tratterà di andare al voto sulla riforma) è la credibilità dell’Italia come interlocutore degli altri sottoscrittori. Poi la reazione dei mercati a un’eventuale impuntatura dell’Italia.

Moscovici, in questo movimentato tour di addio all’Italia, si ritrova a dovere difendere un trattato che sa piacere a pochi in Italia. “Non voglio entrare nel dibatto italiano”, precisa. Ma poi spiega che le versioni precedenti al testo (a questo punto definitivo) di giugno prevedevano automatismi sul rientro dal debito pubblico che la Commissione (e l’Italia) ha evitato. Poi sulla contestata clausola di azione correttiva, quella che conferisce ai creditori la possibilità di chiedere una ristrutturazione del debito: “Normale fare domande, non va bene deformare la realtà. In francese si dice bisogna rimettere la chiesa al centro del Paese, anche se fa un po’ strano detto a Roma”, scherza.

Il fatto è che “c’è già nell’Esm un meccanismo che permette un dialogo tra i paesi che emettono debito e gli investitori privati”. Ora questa possibilità viene solo resa più “fluida”. E comunque, l’Italia non ha alternative e deve ridurre il debito pubblico: “L’Italia non si deve mette nella situazione di pensare di essere accusata o sospettata. Tutti si augurano che l’Italia diminuisca il debito per il semplice fatto che è troppo elevato. Nessuno si augura di mettere l’Italia sotto tutela. L’Italia deve avere fiducia in se stessa e nelle istituzioni internazionali”. Anche la riduzione del debito a ritmo serrato è prevista da un trattato internazionale che ha vita propria rispetto all’Ue. Il Fiscal compact, anche in questo caso approvato con pochissima consapevolezza da parte dell’Italia e poi mai rispettato fino in fondo.

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