Skip to main content

Nessuna persecuzione in Xinjiang. Parola di Pechino? No, di Grillo

In Xinjiang va tutto bene, parola del Blog di Beppe Grillo. Mentre i media mondiali riprendono un poderoso lavoro giornalistico del New York Times che ha portato allo scoperto altre corpose informazioni sulla repressione dello Stato cinese contro i musulmani uiguri che vivono nella regione, il vangelo grillino ospita un articolo che segue nettamente la linea di Pechino. Ossia quella della narrazione contro i nemici della Cina, e sostiene che è in atto “una campagna mediatica sui diritti umani volta a screditare l’operato del governo cinese”.

Passo indietro. Lo Xinjiang è una regione autonoma della Cina nord-occidentale dove vive una maggioranza etnica turcofona e musulmana; è un’area geograficamente strategica da sempre, perché è il prolungamento fisico-politico del Regno di Mezzo verso l’Europa, e ora acquisisce ancora più importanza nell’ambito della macro-infrastruttura geopolitica Belt & Road. Il Partito Comunista cinese da sempre non vive serenamente quella presenza, anche perché ha creato negli anni problematiche autonomiste al governo centrale, ed è stata interessata da fenomeni di radicalizzazione islamica. Da alcuni anni si sa che la Cina ha avviato una “campagna di rieducazione” sugli uiguri, attraverso campi di detenzione che hanno ricevuto diverse denunce da parte delle associazioni per i diritti umani. Sia sul funzionamento, sia sulla gestione.

L’articolo sul blog di Grillo è scritto da Fabio Massimo Parenti, professore associato dell’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze (non nuovo su certe letture), che cita a sua volta un libro scritto dall’archeologa Maria Morigi proprio sullo Xinjiang (i due spesso scrivono, anche insieme). Morigi scrive che nella regione c’è “una buona convivenza tra Han e Uiguri e non si percepisce alcun tipo di discriminazione”. E “non vi sono corrispondenze reali, dunque, alle accuse di repressione, se non addirittura di genocidio culturale”.

Parenti e Morigi arrivano al loro nocciolo, che è identico a quello cinese: le denunce, dicono, partono dalle organizzazioni umanitarie perché sono collegate al governo degli Stati Uniti – “Ong e interventismo umanitario” è il titolo di un capitolo nel libro di Morigi. E dunque diventerebbe tutto un gioco di disinformazione americana, chiaramente collegato alla competizione in corso tra potenze secondo l’opinione che il centro di controllo grillino diffonde ai simpatizzanti. È esattamente quello che Pechino sta cercando di raccontare al mondo riguardo questo genere di dossier, dallo Xinjiang a Hong Kong.

Situazioni create ad arte dai nemici, dicono i cinesi, con l’atteggiamento tipico dei governi autoritari alle prese con crisi interne. Da notare che per portare avanti certe narrazioni la Cina fa leva sui Paesi con cui ha più collegamenti: per esempio, l’avvio di questo storytelling riguardo alle proteste contro la cinesizzazione di Hong Kong è stato dato durante una conferenza stampa a Roma, in cui il neo-ambasciatore cinese ha accusato gli americani di essere dietro alle manifestazioni nel Porto Profumato. Su Hong Kong, si ricorda che il leader del Movimento 5 Stelle nella squadra di governo, il ministro degli Esteri Luigi di Maio, ha detto che l’Italia deve cavalcare la strada della “non interferenza” – anche questo è  esattamente cià che chiede la Cina.

La situazione nello Xinjiang in realtà è piuttosto diversa da come viene raccontata nel blog di Grillo. Gli “Xinjiang Papers” – come vengono chiamate dalla stampa internazionale le 400 pagine di documenti riservati ottenuti dal New York Times – ne sono un’altra certificazione formidabile. Aggiungono informazioni ai vari report di ong e testimonianze dirette raccolte dai giornalisti che secondo l’Onu sono tutte “credibili”. Sulla base delle denunce più strutturate rispetto al post made in Grillo sarebbe in corso un piano per la detenzione di massa e la trasformazione socio-culturale del Paese. La Cina dice che ci sono semplicemente dei campi di rieducazione contro la minaccia terroristica.

Nessuno li ha mai potuti visitare, però. Tanto meno Parenti – che racconta di essere stato nello Xinjiang recentemente e di non aver notato niente di particolarmente rilevante; fu un viaggio di quattro giorni organizzato dal governo cinese, anche quello oggetto di un intervento sul blog di Grillo in cui si contestava il silenzio (in realtà per niente vero) dei media occidentali sul terrorismo nello Xinjiang e fondamentalmente si giustificavano le attività cinesi. Da notare, a proposito delle visite nello Xinjiang: l’Unione europea sta discutendo con il governo cinese per tour a livello di ambasciatori nella regione occidentale, ma è improbabile che il viaggio si concretizzerà a meno che non siano soddisfatte determinate condizioni. Che è molto difficile che Pechino conceda. Non ci saranno accessi reali a quei campi e possibilità di libero movimento per gli europei. La Cina si limiterà a concedere una visita accompagnata e guidata, filtrata sulle esigenze che vuol mostrare.

La Cina e il blog di Grillo negano gli arresti di massa, che invece sono parte fondamentale di un piano con cui Pechino intende procedere con la “trasformazione” della società nello Xinjiang – il virgolettato è ripreso direttamente da quanto il segretario del Partito Comunista cinese, il capo dello Stato Xi Jinping, ha detto tempo fa in un discorso. I documenti del Nyt sono scritti interni di estrema importanza in cui si parla apertamente di questo piano. Di più: dimostrano che è un progetto non regionale, ma centralizzato. Ci sono ordini di esecuzione e gestione che partono dai massimi vertici del Partito, e dunque dello Stato. Ancora: raccontano che all’interno del Partito c’è qualcuno che non è d’accordo con Xi e che ha voluto svergognare le attività nello Xinjiang rendendole pubbliche alla stampa.

Xi, dalla verbalizzazione di riunioni orali e dai documenti scritti in possesso del Nyt, avrebbe ordinato l’uso di “strumenti della dittatura” contro le derive collegate a “terrorismo, infiltrazione e separatismo” e di farlo “senza nessuna pietà”. Dovrebbe essere la risposta contro le attività di certi gruppi presenti nello Xinjiang, protagonisti da anni di dozzine di azioni terroristiche di vario genere (alcuni di loro hanno anche compiuto il jihad califfale). Secondo le varie denunce però, il governo cinese per sradicare il problema avrebbe preso la strada di una sorta di pulizia etnica, con arresti e detenzioni anche arbitrarie, sulla base di metodi di polizia predittiva; persone che vengono rinchiuse solo perché corrispondono a canoni dettati da un algoritmo che li considera potenziali terroristi. Non ci sono prove dirette, ma tantissime segnalazioni: ma secondo il blog di Grillo non ci sono problemi di alcun genere.

 



×

Iscriviti alla newsletter