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O noi o i cinesi. L’aut aut di Trump alla Grecia

Un soggetto che ha una lunga tradizione nell’attrarre a sé economie in crisi di liquidità, a cui sottoporre accordi “distorti”. Così il Segretario americano al Commercio Wilbur Ross ha definito la Cina. Il “pizzino” degli Usa era diretto alla Grecia, nuovo hub militare a stelle e strisce nel Mediterraneo, ma al contempo anche partner di ferro con Pechino grazie alla presenza di Cosco al Pireo e alle mire asiatiche (a partire dal 5G).

LE PAROLE DI ROSS

Dopo aver elogiato il porto del Pireo controllato dalla Cina tramite Cosco (che ha rilevato la proprietà del mega hub e si prepara a nuovi investimenti su terminal e banchine) il ministro degli Stati Uniti ha offerto alla Grecia un consiglio: la Cina ha una lunga storia nell’attirare nazioni con problemi di liquidità in accordi distorti. E la Grecia non dovrebbe cadere nella trappola né valutare un cambio di alleanza. Una presa di posizione netta, questa, presa da chi tra le altre cose ha stipulato in Grecia una nuova partnership commerciale di un certo peso, entrando in affari con l’armatore greco Vaghelis Marinakis e formando così il terzo player al mondo  di mega navi per il trasporto di idrocarburi.

IL CASO DELLA CAMBOGIA

Il parallelo con lo schema cambogiano in questo senso può aiutare per comprendere il senso della geopolitica in atto nell’Egeo. Dal 2017 la Cina sta spingendo per realizzare in Cambogia una base navale nel porto di Koh Kong nel golfo della Thailandia. La posizione è strategica per la Cina in quanto consente l’accesso al Mare del Sud e alla parte filippina. E l’area portuale nel 2008 fu assegnata per 99 anni a una società di sviluppo turistico cinese. Lo stesso schema attuato in Grecia al Pireo. Questa la ragione di fondo che preoccupa Washington, impegnata in una fase cruciale tanto logistica quanto militare in quel fazzoletto di Mediterraneo. Infatti il nuovo accordo Usa-Grecia per quattro nuove basi firmato dal Segretario di Stato Mike Pompeo e dal premier conservatore Kyriakos Mitsotakis porta in grembo non solo una nuova dislocazione di uomini e mezzi americani in Grecia, ma anche spunti di natura tattica e strategica.

L’IMBARAZZO USA

Cosa accadrebbe se, ad esempio, a pochi chilometri da una base Usa in Grecia con sommergibili nucleari o F-35 vi fosse una presenza massiccia di players cinesi? Come minimo sorgerebbe del velato imbarazzo. Si pensi che dalla base di Larissa, nella Grecia centrale, decollano i droni americani per monitorare l’Egeo e anche i riverberi della crisi siriana, mentre a Creta la base di Souda Bay sta per essere interessata da un raddoppio strutturale per ospitare più fregate e sottomarini in ottica Siria e Libia.

Sicurezza nazionale ed equilibri, dunque, al centro del richiamo di Ross ad Atene, nella consapevolezza che l’invasività cinese in Grecia non è finita col Pireo. Il ricco Fondo Fosun, tra le altre cose proprietario del Club mediterranée, che sta spingendo molto per portare gli attuali 100mila turisti cinesi annuali in Grecia a un milione nei prossimi quattro anni, ha appena inglobato la compagnia Thomas Cook, con l’orizzonte di potenziare anche i collegamenti fra Pechino, Atene e le isole.

IL MONITO SU HUAWEI

Non c’è solo la logistica portuale al centro dell’interesse cinese in Grecia, ma come ha ricordato l’ambasciatore Usa ad Atene, Jeoffrey Pyatt, anche il tema del 5G. Il diplomatico segue “la rotta” indicata da Ross quando sottolinea che è normale per la Grecia avere rapporti con una delle più grandi economie del mondo ma per quanto riguarda il 5G “è importante che la Grecia sappia che quando lavora con giganti della tecnologia cinese come Huawei, lavora anche con il governo cinese”. Mettendo l’accento sul fatto che queste compagnie sono “soggette al controllo statale e sono profondamente coinvolte nel sistema repressivo di Pechino e nelle sue crescenti ambizioni geopolitiche”.

twitter@FDepalo

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