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Ecco le condizioni del Pd di Zingaretti a 5S, Conte e Renzi

“Non si può governare insieme se ci si sente avversari politici”, ha scandito dal palco di Bologna Nicola Zingaretti al termine della tre giorni organizzata dal Partito democratico nel capoluogo emiliano-romagnolo. “Non si può governare insieme se ci si sente avversari politici”, ha ripetuto più o meno identicamente in quegli stessi istanti Goffredo Bettini ospite di Lucia Annunziata a Mezz’ora in più su Raitre. Una frase, quella ribadita dal segretario del Pd e dal suo storico consigliere, che dà pienamente il senso della manifestazione organizzata dai democratici in Emilia-Romagna.

Il governo deve andare avanti – è il messaggio – ma non senza condizioni. Le polemiche e la rissosità interna alla maggioranza – che hanno caratterizzato questi primi mesi di esecutivo giallorosso – devono lasciare spazio a un nuovo accordo tra le forze che sostengono Giuseppe Conte. Al quale Zingaretti si è rivolo direttamente: “Lo dico al presidente del Consiglio: prepariamo una nuova agenda per questo governo, figlia degli accordi ma anche delle esigenze dell’Italia”. Messaggio, anche questo amplificato, da Bettini in questa sorta di uno-due che ha caratterizzato il pomeriggio in casa democratica: “Se fossi Conte, riunirei la maggioranza e indicherei le priorità politiche del governo. In modo da vincolare tutti a una nuova disciplina di coalizione”.

Il riferimento, ovviamente, è ai due principali alleati di governo: in primis a Matteo Renzi – che ancora nei giorni scorsi è tornato ad augurarsi di poter infliggere al Pd lo stesso colpo che qualche anno fa Emmanuel Macron riuscì ad assestare ai socialisti francesi – ma anche ai cinquestelle. “Chi tra gli alleati ci attacca per proprio tornaconto scava la fossa per sé stesso e per tutto il centrosinistra italiano perché il Pd sarà sempre il pilastro di ogni risposta alla destra risorgente”, ha rivendicato Zingaretti. “Non staremo ad aspettare inerti che Renzi prosciughi il nostro consenso: è un problema per il governo”, gli ha fatto eco più duramente Bettini. Che ha ribadito la volontà del Partito democratico di lavorare a un’intesa stabile con i pentastellati ma pure evidenziato i dubbi che questa ipotesi genera tra gli stessi cinquestelle: “Sono in sofferenza, noi dobbiamo spingere affinché la lotta interna si risolva a favore dell’alleanza”. L’artefice di quello che fu il cosiddetto modello Roma – quando la Capitale faceva sempre parlare di sé in Italia e nel mondo, ma in positivo – non ha nascosto i numerosi ostacoli disseminati lungo questo percorso: “Luigi Di Maio? Diciamo che la sua è la componente più diffidente rispetto a questo processo unitario”. Una cautela – ha sottolineato Annunziata nel corso dell’intervista – che potrebbe anche portare a una scissione del MoVimento 5 Stelle, come si è vociferato ripetutamente nel corso degli ultimi mesi. “Ormai sono costretti a decidere da che parte stare: mi auguro che nel complesso facciano una scelta di tenuta dell’alleanza ma il momento è difficile”, è stata la risposta – che non ha smentito – di Goffredo Bettini.

Una ripartenza politica, quella invocata dai democratici, che si è concretizzata anche in una serie di proposte destinate a far discutere. Come la modifica dei cosiddetti decreti sicurezza voluti dal leader della Lega Matteo Salvini – ai tempi non tanto lontani, per la verità, in cui quest’ultimo governava insieme ai cinquestelle (sempre con Conte premier) – e l’introduzione dello Ius Culturae verso il quale, tra gli alleati del Pd, non pare respirarsi lo stesso clima di entusiastico favore. Potenziali motivi di contrasto che rischiano di rendere ancora più traballante il sistema delle relazioni politiche interne alla maggioranza. E in fondo è questo il tema fondamentale posto dalla tre giorni del Pd a Bologna: che l’esperienza di governo deve proseguire, ma a patto di fare, se non un salto di qualità, almeno qualche passetto in avanti sia dal punto di vista delle politiche attuate che sotto il profilo dei rapporti tra alleati.

Il tutto in attesa di portare a casa la legge di Bilancio e di capire cosa succederà il 26 gennaio quando si recheranno al voto i cittadini della Calabria e soprattutto dell’Emilia-Romagna. Due passaggi fondamentali, in particolar modo il secondo, anche in un’ottica di politica nazionale, nonostante la coalizione di governo, a differenza di Salvini e del centrodestra, stia cercando di evidenziare la sola dimensione locale di queste elezioni. “Una sconfitta in Emilia-Romagna indebolirebbe sicuramente l’esecutivo Conte, non so se fino al punto di farlo cadere”, ha commentato Bettini da Lucia Annunziata. Un altro, l’ennesimo, punto interrogativo che grava sul destino di questa strana maggioranza.

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