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Ppe e Chiesa sono antisovranisti nel dna. Parola di Pöttering

“Ah l’Italia, se avessi una seconda vita la passerei qui”. Mentre firma una delle ultime copie, Hans-Gert Pöttering confessa di aver sempre avuto un debole per il Belpaese. L’ex presidente tedesco del Parlamento europeo, di cui ha fatto parte ininterrottamente dalle prime elezioni del 1979, è a Roma per presentare al Circolo degli Esteri il suo ultimo libro, “Il mio percorso europeo” (Laterza). Un’autobiografia che ripercorre cinquant’anni di battaglie politiche, nella Cdu e fra i banchi di Strasburgo, e insieme scava nell’intimità di uno dei protagonisti della stagione europea. L’amicizia con papa Giovanni Paolo II, poi con Benedetto XVI. Il rapporto con Silvio Berlusconi, “mi rimproverava quando applaudivo troppo Prodi”, scherza a margine della presentazione organizzata dalla Fondazione Konrad Adenauer con Jas Gawronsky, l’ambasciatore Gabriele Checchia e il professore Antongiulio de’Robertis. E poi l’Italia. Dove il suo Ppe è quasi scomparso, ed è in cerca di autore. Anche se, per il momento, le porte alla Lega di Matteo Salvini restano chiuse.

Presidente, Alcide De Gasperi diceva che senza un “soffio vitale” le istituzioni europee sarebbero state destinate al fallimento. Lei oggi lo vede?

A volte è difficile. Oggi più che mai l’Ue ha bisogno di riscoprire la sua anima. È un progetto di pace, ma prima ancora è una comunità di valori. Democrazia, libertà, stato di diritto, dignità della persona umana. Ci sono tanti, troppi Paesi nel mondo che li mettono in discussione. Se non li difendiamo non andremo avanti ancora a lungo.

Alle elezioni europee il suo partito si è confermato come prima forza politica del Parlamento europeo. I sovranisti però hanno conquistato spazi un tempo inimmaginabili. Crede che con loro i popolari possano trovare un dialogo?

Sicuramente possiamo imparare da questa esperienza. Il compito dei popolari, ma di tutti i partiti europeisti, è quello di spiegare ai cittadini che le tre identità, europea, nazionale, locale, possono e devono convivere. Siamo cittadini europei. Ma gli italiani sono anzitutto italiani, e così i tedeschi, e ognuno ha un legame affettivo e identitario con il suo territorio, la sua famiglia, la sua comunità. Chi pensa che la sua nazione sia al di sopra delle altre è un nazionalista, e il nazionalismo porta sempre alla guerra. Ma chi si definisce solo europeista non ha radici.

Fino a poco tempo fa il Ppe aveva nel sistema politico italiano una forte rappresentanza: Forza Italia di Silvio Berlusconi. Oggi sembra mancare un riferimento di primo piano. Lei si immagina nel prossimo futuro un’entrata della Lega nella famiglia popolare?

Nel Ppe non c’è spazio per i partiti che non difendano i nostri valori, a partire dalla dignità umana e dall’integrazione europea. Il nostro continente deve fronteggiare minacce senza precedenti provenienti dall’estero, dalla Russia ma soprattutto dalla Cina. Solo se rimaniamo uniti e convintamente europei potremo difenderci.

In Italia si discute dell’opportunità per la Chiesa di aprire al dialogo con i partiti più conservatori come la Lega. Crede ci siano le basi per costruirlo?

Ci deve sempre essere dialogo, è il pilastro per uno sviluppo pacifico della società. Non dobbiamo mai essere intolleranti se non con gli intolleranti. Da cattolico mi aspetto che la Chiesa difenda sempre la dignità di ogni essere umano. Dopotutto è cosmopolita per sua natura. È ovunque nel mondo, e non può che essere contro il nazionalismo e guardare con favore all’integrazione europea.

L’ultima tegola sul dibattito europeista in Italia si chiama Mes (Meccanismo europeo di stabilità). È giusto legare il supporto finanziario alla ristrutturazione del debito?

Non nascondo che Italia e Germania su questo punto hanno posizioni diverse. Partiamo dalle basi: il Trattato di Maastricht, prima ancora del Mes, richiede ai Paesi membri dell’Ue di non superare un rapporto annuo debito/Pil del 60%. Lo abbiamo firmato tutti e tutti siamo tenuti ad attuarlo. In Italia oggi questo rapporto è del 132%. Certo, si può discutere di un diverso sistema per conteggiarlo.

Ad esempio?

Potrei capire una riforma che tenga più in conto nel bilancio finale, ad esempio, gli investimenti nelle infrastrutture. Prima però ci devono essere sforzi concreti in questa direzione, non solo proclami. Il Trattato di Lisbona parla di un’economia competitiva, sociale e di mercato. Nessuna di queste dimensioni deve essere ignorata.

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