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Prove di consenso. Tutte le tecniche psicologiche applicate alla politica

La politica contemporanea, e l’organizzazione del consenso che ne deriva, utilizzano attualmente delle tecniche che non sono mai state applicate prima.
Stiamo attraversando un’epoca in cui, dentro la tradizionale rappresentanza politica parlamentare, ereditata dal pensiero liberale e democratico del Settecento e del secolo successivo, operano meccanismi del tutto nuovi; e decisamente molto più potenti di quelli che formavano, nell’imitazione moderna dell’agorà ateniese, la volontà del popolo e la direzione dell’esecutivo.

Democrazia degli Antichi e Democrazia dei Moderni, per usare la similitudine di Benjamin Constant, erano in fondo affini, ma diverse per funzionamento.
La quantità dei cittadini non costituiva una differenza sostanziale, salvo il fatto che, sempre secondo Constant, il cittadino democratico moderno delegava alla classe elettiva quello che non rientrava nel suo essere “individuo privato, con interessi privati”.

E la causa si trovava, ancora per Constant, proprio nella nuova categoria “dell’individuo privato”, che trova giusto, per mantenere le sue ricchezze o il suo lavoro, delegare a qualcun altro il suo potere di fare e disfare le leggi. Oggi, il privato non esiste più. Ma non nel senso della società “dei mille occhi” e della sorveglianza continua, ma perché la stessa categoria del “privato” è cessata, anche nel discorso politico.
Una società totalitaria di massa, quindi, con un apparato repressivo che vale per tutto ciò che prima, appunto, sarebbe stato oggetto dell’ambito strettamente personale della vita.

Tutto è cambiato, oggi, ma tutto appare ancora uguale ai criteri e ai principi che abbiamo studiato nei manuali di storia delle dottrine politiche. Non è così. Intanto, dall’inizio del ‘900, Eduard Bernays, nipote di Freud e inventore delle pubbliche relazioni, crea alcuni collegamenti tra la psicologia di Sigmund Freud (e con la Psicologia delle Folle di Gustave Le Bon, lettura preferita di Mussolini) e la pratica politica. È quello l’inizio di quella che, oggi, chiamiamo “comunicazione d’impresa”.

Le suffragette fumano, e questa è una operazione finanziata da Bernays attraverso i produttori Usa di tabacco. L’esaltazione della sessualità, successiva alla pubblicazione del Rapporto Kinsey e alla diffusione di massa della pillola anticoncezionale, sconvolge i consumi e le abitudini di vastissime masse di giovani che, negli anni ’60, modelleranno i consumi di quella che Galbraith definirà la “società affluente”. Era quello l’obiettivo, non il sesso.

Per vendere o per indurre comportamenti politici, quindi, si “lavora” soprattutto sull’inconscio, la scoperta di Sigmund Freud. E tutto ciò che viene impiantato dall’esterno nell’inconscio, oggi, se ripetuto con costanza, in un determinato futuro diventa sempre reale.

Il reale per sé diventa sempre in sé, perché quello che gli individui, in massa ma solitari (la “folla solitaria” di Riesman) pensano diventa o consumo o comportamento politico, il che è sostanzialmente lo stesso.

Il subconscio ha un immenso potere, quello di controllare tutte le esperienze soggettive, esso è il pilota automatico della vita. Anche dal punto di vista pratico.
Nessuno oggi parla alla “ragione”, il mito del settecento, ma agli istinti, al subconscio, addirittura all’inconscio.

E tutto il meccanismo del subconscio è già pronto a 7/8 anni, e continua per tutta la vita. Per riprogrammarlo, occorre, in primo luogo, limitare le negatività esterne e ambientali. Anzi, occorre cercare persone, cose e ambientazioni, e anche informazioni, del tutto “positive”.

Inutile sottolineare come questa regola sia attentamente seguita da tutti i propagandisti politici e, soprattutto, dai pubblicitari. La politica segue sempre, oggi, le regole della pubblicità dei beni di largo consumo. Il leader è un testimonial, lo script è il programma, il governo un oligopolio.

Per de-programmare la mente “negativa”, occorre invece visualizzare, come in un sogno ad occhi aperti, situazioni positive in cui si sia già inseriti. Poi, rielaborare i sentimenti di gioia, che arrivano subito, prima degli altri, al subconscio. La mente subconscia conosce sempre e solo il presente. Passato e futuro sono elaborazioni concettuali, quindi consce. Il negativo di una proposizione negativa, il subconscio lo legge solo come negativo.

Creare proposizioni positive che contrastano quelle negative prodotte dal subconscio, poi ripetere continuamente queste azioni. È questa la tecnica di base.
Questo è, in sintesi, il meccanismo soggettivo che viene usato, oggi, nella comunicazione politica e commerciale. Ma quali sono le attuali tecnologie che vengono utilizzate per programmare e riprogrammare la mente dei singoli?

Siamo arrivati allora alla teoria della guerra sociale, lo scontro virtuale, ma totale, che si opera, nelle menti dei cittadini di un Paese-bersaglio, utilizzando le attuali tecnologie. L’obiettivo di ogni campagna di ri-programmazione è, appunto, far pensare il nemico (il popolo nemico, sia ben chiaro) come noi.

Si tratta di una manipolazione di nuovo tipo, e ben più ampia di quella che si è realizzata con la vecchia disinformazione o con la intossicazione informativa che era la parte non violenta della guerra fredda.

Le tecnologie informative ormai più usate sono il Precision Targeting, che invia a un gruppo preciso messaggi e induzioni al comportamento; poi c’è la vasta raccolta di tecniche della Intelligenza Artificiale, che si usa qui per simulare al computer il comportamento e il pensiero in rapporto ad una informazione primaria che si vuole veicolare, poi ancora vi è il decision-making algoritmico, che elabora informazioni tramite algoritmi specifici, per produrre raccomandazioni o decisioni del tutto automatizzate.

Questo vale sia per il decision maker che per la vasta massa degli utenti, cittadini e elettori del suddetto decision maker. Poi, ancora, ci sono le tecnologie VR e AR, Virtual Reality e Augmented Reality, che creano ambienti parzialmente o completamente artificiali sia per i programmatori della pubblica opinione che per l’opinione pubblica stessa.

Ma ci sono anche le utilizzazioni, in questo campo, della Internet of Things, che serve a mettere in correlazione macchine e sensori per la costruzione di una Realtà Completa, che diviene un dato da diffondere come tale.

In questo contesto di manipolazione completa dell’informazione, che diviene la completa Realtà, vengono utili anche le interfacce vocali, che permettono di scambiare informazioni tra Fonte e Utente o tra gli Utenti tra loro, il che permette il rinforzo psicologico della notizia.

Sempre nel settore della manipolazione informativa, sono importanti anche le blockchain, che permettono il controllo e l’elaborazione dell’informazione solo per il tramite degli utenti abilitati alla “catena”.

Da non dimenticare nemmeno, qui, i programmi computerizzati che generano video e immagini del tutto falsi ma assolutamente plausibili. Per quel che riguarda il Precision Targeting, esso viene utilizzato soprattutto per riprogrammare gruppi di individui pre-selezionati, i quali forniscono alla Rete un flusso continuo, dai cellulari, dalla Rete e dal resto, di informazioni a chi può accedere selettivamente alla Rete, tutto ciò lo si utilizza oggi soprattutto tramite i social media.

Siamo già arrivati in questo caso al neuromarketing, che modifica i desideri e le abitudini di specifici gruppi di popolazione. Facendo in modo di unire gli effetti sullo stato mentale con quelli emozionali.

Come se fosse un segno, che è, secondo De Saussure, il nesso indistruttibile tra significato e significante. Ma un segno linguistico, il prodotto del neuromarketing, non lo è affatto.

E, in questo caso, potrebbe essere utile la tecnologia, che abbiamo citato, per il riconoscimento facciale indiretto, manovrato da sistemi di Intelligenza Artificiale.
Il riconoscimento facciale permetterà a chi manovra, anche temporaneamente, la Rete, di verificare in breve tempo le emozioni di milioni di persone, e noi sappiamo quanto le emozioni siano oggi importanti per manomettere la psiche e comunicare concetti che, spesso, hanno scarsissimo rilievo concettuale e perfino emozionale o psichico.

Entro il 2035 queste tecnologie dovrebbero diffondersi a macchia d’olio, visto che sono importantissime sia per le operazioni commerciali che per il marketing politico.
Per quel che riguarda l’Intelligenza Artificiale, che è l’asse primario dello sviluppo di tutte le altre tecnologie di cui qui parliamo, l’AI sarà impiegata soprattutto nel riconoscimento verbale e testuale, nella raccolta e analisi di dati ad amplissimo spettro, poi per l’elaborazione di dati iniziali grezzi, sempre in una popolazione amplissima.

Ma, soprattutto, l’AI verrà utilizzata per la definizione di un decision making automatizzato, che sostenga i decisori umani quando non sanno, non ricordano o non comprendono l’insieme dei fatti e, soprattutto, le determinanti sottese ai fatti.

Arriveremo a imitare, senza saperlo, il testo di Elsa Morante, “il mondo salvato dai ragazzini” e, certo, quello che accade nella comunicazione globale già ci garantisce questo futuro. Sono più manipolabili, sono senza memoria, sono perfetti per il Brave New World che ci si staglia davanti.

Possiamo facilmente immaginare cosa vuol dire tutto ciò per la pubblicità, per la selezione dei mercati, per le decisioni d’impresa ma, soprattutto, per l’elaborazione di piattaforme politiche, sia per quanto riguarda il processo elettorale che per quello più specificamente decisionale.
Il prossimo livello sarà quello dei contenuti, che spesso saranno prodotti direttamente da sistemi AI.

Ma vediamo meglio cos’è il decision making algoritmico. Viene applicato spesso, già da oggi, in medicina.
Analisi delle malattie, previsioni terapeutiche, analisi statistica delle malattie e dei loro effetti sia soggettivi che di quelli operanti nelle popolazioni; ma altri settori sono e saranno di più, tra poco, come il sistema bancario, quello delle Risorse Umane, perfino la stessa decisione politica saranno oggetto di queste applicazioni, che diventeranno spesso tanto complesse da sfuggire, in futuro, agli stessi computer che le eseguono.
Se si raccolgono moltissimi dati, è sempre più probabile che una sequenza di decisioni o di semplici nuovi dati non sia riconosciuta dal programma che opera nel computer.

Anche per le reti AI avremo un learning by doing.

Due i pericoli: che la proprietà privata delle più importanti banche dati renda impossibile la concorrenza tra sistemi, e che gli algoritmi siano hackerabili o manipolabili da terzi sconosciuti al sistema.

Poi ci sono la realtà virtuale e la realtà aumentata.

Qui, se si procede con il sempre più analitico e ossessivo adattamento degli apparecchi all’Io dell’Utente, o ai suoi gusti, ritenuti chissà perché immutabili, si rischia una deriva ideologica delle nuove tecnologie, quella dell’iper-soggettivismo e, come accade nella attuale prassi pedagogica, della permanenza dell’Io di massa in una eterna infanzia.

L’”Io minore” preconizzato da alcuni è un rischio concretissimo, e non si capisce nemmeno come si faccia ad adattare una produzione super-massificata alle psicologie sempre più autoreferenziali dell’Io Consumatore.

Per non parlare del limite naturale, oggi spesso evanescente, che la AR mantiene tra immaginario e realtà, un limite che, nella applicazione propagandistica e politica della VR, potrebbe divenire pericolosissimo da infrangere.

Immanuel Kant parlava dei cento talleri d’oro che possono essere nella tasca o solo nell’immaginazione, ma che non possono certo essere confusi tra di loro.
Ecco, al di là di qualsiasi elaborazione tecnologica, il Reale non è mai l’Immaginario.

Anche se può indurre, l’immaginario, a comportamenti molto simili a quelli che il soggetto avrebbe se sottoposto alla realtà, quella che ha, come diceva Voltaire, “la testa dura”.

Per quel che riguarda la IoT, Internet of Things, ci si riferisce genericamente, con questo termine, a un ambiente denso di macchine che interagiscono tra loro tramite la Rete. Il potenziale informativo di IoT è, come è facile intuire, immenso. Abitudini degli umani, di consumo ma non solo, comunicazioni, modi di vita, scambi tra i soggetti, posizioni e informazioni scambiate tra i singoli faranno parte di immense banche dati.

Dove magari, in futuro, sarà difficile andare a trovare esattamente quello che serve, visto che il bias degli stessi sistemi informativi e di storage dei dati tende sempre ad aumentare con la quantità e complessità dei dati stessi.

Si calcola che, nel 2030, vi saranno in attività oltre un trilione e mezzo di sensori a vario titolo connessi a reti IoT, che varranno la metà dell’intero traffico di Internet degli utenti “semplici”.

L’intero mercato IoT dovrebbe valere, secondo Deloitte, un trilione e, poi, altri 750 miliardi per i moduli di connessione della rete IoT.

È facile immaginare quanto tutto questo renda hackerabili i dati non solo delle reti IoT ma di tutte le altre reti collegate a Internet e che vanno a finire in una struttura IoT.

Per quel che riguarda le blockchain, entro il 2030 le reti web di mutuo controllo chiuse (le blockchain, appunto) saranno alla base delle reti finanziarie, di controllo, di verifica e di analisi.

Sarà l’inizio della monetazione virtuale, che è, di per sé, l’apertura della porta inferi finanziaria.
Il livello della dottrina economica attuale, miserando, lo permette.

Ma tutto questo sviluppo tecnologico, tra immagine e realtà, ci porterà verso una società dell’inverificabile e del probabile, senza alcuna possibilità di risposta a un fake, finanziario governativo o informativo, e con una penetrabilità sempre maggiore delle reti informative, alle quali sarà demandato tutto il tessuto sociale, non solo il suo controllo.

La società dei cento talleri immaginari, credendo che quelli immaginati siano già nella tasca, non potrà però pagare alcunché.

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