I dolori del giovane Zingaretti (e del Pd)? Secondo l’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, esponente storico della Margherita e primo segretario organizzativo del Pd post Lingotto, la grande preoccupazione nei dem non è quella del leader, così come evidenziato da alcuni intellettuali e osservatori, ma di avere un partito che tende ad arroccarsi e a chiudersi sposando l’impostazione monoculturale anziché quella della pluralità: “Rischia di essere un re nudo”.
“Progressisti senza leader”, scrive Michele Salvati sul Corriere della Sera, pensando al Pd privo dell’egemonia culturale contro il fronte sovranista. È così?
Da attento lettore di Salvati, osservo che in questo momento vi è un’emergenza-Paese data dal voler costruire quotidianamente nelle coscienze dei cittadini e nelle sensibilità degli italiani un fronte alternativo e credibile al sovranismo e al populismo. Tale costruzione, contrariamente a ciò che pensa Salvati, ritengo che sia affidata agli sforzi dei molti e alla capacità dei tanti. L’idea dell’uomo solo al comando e del leader carismatico è sì una condizione importante, ma non è più sufficiente per la complessità del problema. Magari fosse solo una questione di leader.
Quali i mali del Pd allora?
Ricostruire le fondamenta di un popolo che non si riconosce in una svolta di destra: per far questo occorrono i contributi di molti. È proprio la ricerca affannosa di un leader carismatico che risolve da solo i problemi e che si porta dietro il circuito dei cerchi più o meno magici a complicare ulteriormente la situazione.
Quale sforzo da attuare allora?
Sapere costruire una rete larga che si apra. La grande preoccupazione nel Pd non è quella del leader, ma di avere un partito che tende ad arroccarsi e a chiudersi, invece che spalancare le porte. Si rischia così di avere un Pd ridotto ad una impostazione monoculturale, abbandonando la ricchezza della pluralità: ovvero chi ha paura di navigare in mare aperto e preferisce accucciarsi nel solito schema. Questo mi mette paura.
La scissione renziana si inserisce proprio in questo scenario?
Quando parlo di pluralità di culture mi riferisco al mondo popolare, a quello cattolico-democratico e a quello riformista che era una cosa diversa da Renzi, ma che Renzi si proponeva di poter assorbire. Oggi il Pd, venuto meno questo, rischia di incarnare la favola de re nudo, mentre invece avrebbe bisogno di quella linfa.
Che cosa occorre allo schema democratico per non smarrire quel collante che unì Margherita e Democratici di sinistra?
L’attenzione valoriale. Se non sapremo rialzare le ragioni dei nostri valori che ci danno appartenenza e identità proprio per costruire un progetto, allora daremo l’idea che tra la destra e la sinistra c’è solo l’alternanza di chi gestisce il potere. Invece non è così. La ricostruzione ideale passa dalla centralità della persona umana, dalla sua dignità, dall’attenzione agli ultimi, dall’importanza dell’Europa.
Il Pd rischia di non capire le paure del Paese, che quindi nei suoi settori produttivi (operai, piccoli commercianti, impiegati) dialoga ormai stabilmente con Lega e FdI?
Passa proprio da un mancato allargamento e da una mancata aggregazione delle singole e diverse sensibilità. Lì c’è la sintonia con il Paese. Smarrita quella, rischiamo di non trovare più le ragioni che ci hanno generati. Invece dovremmo essere bravi a trasformare quelle paure in opportunità. La paura si vince suscitando speranza e visione. Oggi una visione non c’è.
L’evento di Bologna potrebbe rivelarsi inutile se non corroborato da un cambio netto di strategia da parte di Zingaretti?
Mi coglie impreparato su Bologna. La sua costruzione è avvenuta solo in termini di inviti. Il Pd impari a lavorare di più sul principio della condivisione e dell’inclusione. Con la logica dell’autosufficienza si fa la fine dell’Umbria.
Crede che qualcuno si sta cullando sul 22% ottenuto in Umbria come, in fin dei conti, un sei politico da ottenere senza infamia né lode?
L’arroccamento non facilita una soluzione. Il problema non è chi è stato o meno invitato a Bologna, ma che percorso seguire. Tutte le culture presenti nel Pd dovrebbero essere rappresentate secondo la propria autonomia. Non posso certo stabilire io chi rappresenta la cultura riformista. Il mito dell’autosufficienza produce gravi danni: solo così si costruisce un partito per essere vincente, non perdente e secondo classificato. L’Umbria ci dice che proprio la mancata capacità di inclusione ci ha portati a non essere alternativi e vincenti.
Per cui, come osserva oggi sulla Nazione il ciellino Giorgio Vittadini, non c’è bisogno di un partito dei cattolici?
C’è bisogno di cattolici impegnati. Il cattolicesimo-popolare ha già fatto un scelta netta: nel centrosinistra, contro il sovranismo e il populismo. Noi vorremmo essere in questa scelta non più “ospiti paganti”, come accaduto in Umbria.
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