Le cosiddette “elezioni di secondo livello”, così come vengono chiamate in letteratura (dalle regionali, alle comunali, financo, per alcuni, le Europee), sono un po’ come il “fritto di pesce ratto” di fantozziana memoria, che può piacere o meno a seconda dei risultati. Se vanno bene (male) allora è tutto merito (colpa) della politica nazionale oppure merito (colpa) di fattori locali, a seconda dei casi e di chi ne è avvantaggiato (svantaggiato), lasciando come al solito il povero (e)lettore un po’ sconcertato e confuso. Ma è la politica, bellezza! Certamente nelle elezioni regionali, rispetto ad esempio alle comunali, il fattore “personalizzazione” conta in media di meno. Ricordo ad esempio distintamente un sondaggio di non tanto tempo fa che indicava come il candidato più apprezzato e conosciuto dagli umbri fosse chi alla fin fine, quando gli elettori sono andati a votare per davvero, ha conquistato meno del 3% di voti… Ma tornerò più avanti sui sondaggi.
Veniamo ora alle elezioni dell’Emilia Romagna (il 26 gennaio si voterà anche in Calabria, ma di queste ultime elezioni sembrerebbe, e colpevolmente, importare poco ai media e al grande pubblico. Il che la dice lunga sul significato delle elezioni di secondo livello di cui sopra). Queste settimane di campagna elettorale sono state apprezzabili secondo me per almeno tre ordini di ragioni.
Primo: l’Emilia Romagna è diventata finalmente una regione politicamente contendibile, e tutti dovremmo esserne felici. La contendibilità (ovvero la possibilità concreta di una alternanza al potere) è cosa buona e giusta: responsabilizza chi al potere c’è (perché se no perde le elezioni) e anche chi al potere non c’è (che deve impegnarsi a fare proposte concrete, non immaginifiche. Che se no quando le vince le elezioni, come potrà attuarle? Ok ci sono eccezioni a riguardo, lo concedo, specie se consideriamo un certo partito che si crede un movimento, ma quelle sono appunto eccezioni). So che alcuni amici liberal (senza “i” finale) potrebbero storcere il naso a riguardo, paventando l’arrivo dei “neo-fascisti” (con diluvi e cavallette annesse), ma sono troppo laico a riguardo. O forse vivo solo per buona parte dell’anno in Lombardia, dove la giunta leghista magari potrebbe fare di meglio (possiamo discuterne), ma di certo non ha prodotto alcun disastro illiberale.
D’altra parte è proprio grazie a questa ritrovata contendibilità che abbiamo visto assurgere agli onori della cronaca le “sardine”. Un colpo di reni da parte di una certa area politica che è finalmente riuscita a riempire le piazze non con bandiere di partito, ma brandendo un pesce. E quando le piazze si riempiono (pacificamente) c’è sempre da esserne (democraticamente) contenti. È questo il secondo elemento da apprezzare di queste settimane. Avranno un impatto sul risultato? Sicuramente. Ma proprio perché costruite su misura contro un “nemico” (Salvini), piuttosto che convincere qualcuno ancora indeciso a votare per Bonaccini, convinceranno qualcuno già intenzionato a votare per Bonaccini ad andare effettivamente a votare per lui invece che starsene a casa. E già questo effetto di mobilitazione, in tempo di crescente astensionismo, è qualche cosa di importante. Ergo, Bonaccini favorito? Sarei stato tentato di dire di sì fino all’altro ieri. Poi è arrivata la vittoria del “no” su Rousseau che complica il quadro in modo non banale.
Ed è proprio il voto su Rousseau la terza nota positiva politica di queste settimane. Tale voto è stato illuminante per due ordini di ragioni: primo, i militanti del M5S (o almeno quelli che hanno votato sulla piattaforma) lo hanno salvato dal rischio di una sostanziale irrilevanza politica. Il partito più grande in parlamento che dopo meno di due anni dalle elezioni non si presenta in ben due regioni? Suvvia, non scherziamo. A quel punto sarebbe stato più dignitoso sciogliersi, o abdicare a semplice prestanome al governo… E testardamente, ma anche coraggiosamente, chi ha votato ha detto “no” ad entrambe le opzioni. Secondo, la tanto criticata piattaforma Rousseau ha dimostrato, dopotutto, di non essere quello “scherzo di democrazia diretta” come sostenuto da più di un commentatore, dato che chi ha votato lo ha fatto anche contro quanto sostenuto dalla propria dirigenza. Una prova di vitalità di democrazia interna al movimento sorprendente, che gli altri partiti dovrebbero secondo me invidiare.
E allora? E allora, in chiave nazionale quello che alla fine conterà davvero in Emilia Romagna sarà il delta di voti per Bonaccini. Ogni delta superiore a 4/5 punti porterà una boccata di ossigeno al Pd e quindi al governo giallorosso. Una vittoria sul filo del rasoio di Bonaccini sarebbe comunque (indipendentemente da quello che si leggerà sui giornali) politicamente una tragedia, perché equivarrebbe a riconoscere che la sinistra non è in grado di neanche dare per scontata l’Emilia Romagna nelle prossime elezioni nazionali, nonostante la buona amministrazione portata avanti a livello regionale (stante almeno a quello che dicono i commentatori). Una vittoria di Borgonzoni sarebbe, infine, un vero funerale.
Torniamo ora ai sondaggi. A livello regionale i sondaggi sono ancora più difficili da fare che a quello nazionale (Hillary, can you hear me?). Per le regionali umbre c’è stato un istituto di ricerca che a 2 settimane del voto dava vincente il candidato di centrosinistra (quello che poi ha perso di 20 punti…). Lo stesso istituto di ricerca che ora dà per certa la vittoria di Bonaccini, per intenderci. Ergo, quando li leggete, prendeteli cum grano salis. Ad esempio, si può dimostrare (matematicamente) che una variazione di 0,5 o 1 punto in un sondaggio, per essere davvero indicativa, dovrebbe richiedere un campione di 6/7 volte superiore rispetto a quello che normalmente si ha. Ergo, la prossima volta che un “analista” discetta a riguardo, ricordatelo. Perché spesso sono corbellerie (fantasiose). Corbellerie (fantasiose) e derivati ideologici.