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Che autogol del governo togliere lo scudo a Mittal. E sulla plastica… Parla Edo Ronchi

Per definire il caso Ilva una “vicenda complessa”, vuol dire che lo è davvero. Edo Ronchi le questioni dell’acciaieria le conosce bene. Ex ministro dell’Ambiente per quattro anni, nei governi Prodi e D’Alema e sub-commissario per il risanamento del sito ai tempi del governo Letta, Ronchi non si scompone più di tanto quando gli si chiede, a margine della rassegna Ecomondo in scena in questi giorni, come uscire dal tunnel dentro cui si è ficcato il governo, all’indomani dell’addio di Arcelor Mittal (qui l’intervista di ieri all’ex ministro Claudio De Vincenti), i cui vertici hanno peraltro incontrato il premier Conte questo pomeriggio. Eppure una via di uscita ci deve essere.

Ronchi, il governo è finito apparentemente impantanato sull’Ilva. Che si fa?

La partita è davvero molto complessa, anche perché non se ne conoscono perfettamente tutti i termini, compresi tutti i dettagli del contratto sottoscritto tra Mittal e lo Stato e anche quelli per la chiusura dell’Altoforno 2. Una cosa è certa. L’elemento decisivo della trattativa è sicuramente lo scudo penale. Sempre che, più che lo scudo, nella rottura c’entri lo stesso progetto industriale previsto per l’Ilva. Un discorso più ampio, insomma.

Ma lei la norma sullo scudo l’avrebbe cambiata?

Non in questa situazione così critica. Mi sembra un’autorete del governo, è evidente che un cambio di regole così repentino e in condizioni già difficili abbia contribuito all’attuale situazione. Una situazione che si sta rivelando tra le più complesse, da molti punti di vista. Crisi dell’acciaio ma anche la conversione di pezzi dell’impianto. Aspetti non banali, oltre al fatto che 10 mila e passa operai rischiano di rimanere a casa.

Cambiamo argomento. Se le dico plastic tax?

Le rispondo così: deve essere cambiata sostanzialmente. Mi spiego, occorre partire da due direttive Ue che dobbiamo recepire, una sul riciclo degli imballaggi in plastica l’altra sulla plastica monouso. Queste due direttive comportano una rimodulazione del contributo ambientale a carico del produttore e non è pensabile pensare di abolire o sostituire il contributo che già viene pagato, piuttosto questo contributo va ridisegnato. Se si introduce una tassa deve quindi essere messa in maniera complementare al contributo e soprattutto non deve superarne l’importo del contributo, altrimenti finisce per sostituirlo e non ha senso l’intera operazione.

Dunque? 

Se volessimo rendere davvero competitivo il nostro sistema di economia circolare potremmo pensare a un prelievo fiscale sui polimeri vergini, lasciando stare il riciclo della plastica. Parliamo di 20 o 30 centesimi al massimo, non l’euro ipotizzato. Questo sì che sarebbe un incentivo perché spingerebbe all’uso di plastiche riciclate dando allo stesso tempo mercato ai prodotti riciclati, rimanendo nel quadro delle due direttive.

Altro salto Ronchi. Ieri gli Stati Uniti hanno ufficializzato il ritiro dagli accordi di Parigi sul clima…

Si tratta di una decisione che cavalca delle spinte economiche arretrate. Non è un caso che molti stati Usa molto avanzati e ricchi, come la California, si siano mantenuti impegnati nella decarbonizzazione. Se l’economia americana ha deciso di non cavalcare il processo di decarbonizzazione allora prima o poi perderà competitività economica. Per questo la decisione statunitense è un errore. Voglio ricordare che ci sono interi segmenti dell’industria Usa che non seguono Trump su questa linea e che invece stanno portando avanti i loro programmi di addio progressivo al carbone.

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