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Prove di tregua tra Russia e Ucraina. C’è da fidarsi di Putin?

Negli ultimi due giorni i ribelli filorussi che combatto in Ucraina orientale hanno aperto il fuoco contro le forze regolari di Kiev una ventina di volte. Hanno colpito con lanciarazzi e armi automatiche, nonostante dalla mattina del 29 ottobre in quelle stesse aree della regione del Donbas, il fronte di Zolote-4, sia iniziato un parziale ritiro delle truppe.

Teoricamente i separatisti non avrebbero dovuto sparare. È stato lo stesso governo ucraino ad aver annunciato che il ritiro sarebbe stato eseguito in sicurezza, sotto una tregua. E sono stati gli ucraini ad avviare la smobilitazione, come passo unilaterale. Un atto di buona volontà per preparare il terreno alla prossima riunione del Quartetto Normandia, il formato diplomatico tra Russia e Ucraina che vede Francia e Germania come elementi di mediazione.

La decisione del presidente Volodymyr Zelensky però a Kiev è vista come una concessione eccessiva e troppo in anticipo rispetto i piani della Russia. Gli ucraini non si fidano del Cremlino. Vogliono la pace, ma vogliono valutarne il costo. Temono che la speranza di smuovere una mossa reciproca possa essere letta come un debolezza dai ribelli e dai russi che li sostengono.

Due giorni fa, a Odessa – una città portuale molto importante nell’ovest ucraino dove si trova l’Accademia navale – c’era il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, che ha aiutato Kiev e pressato Mosca affinché facilitasse il ritiro dei ribelli: “La Nato dice chiaramente che la Russia ha una sua responsabilità particolare nell’implementare gli accordi di Minsk e deve ritirare le sue truppe, tutti i suoi ufficiali dall’est dell’Ucraina”.

Gli accordi di Minsk sono l’intesa per la pacificazione scritta nel 2015 ma da sempre restata come niente di più di un foglio. Mai implementata sul terreno, Mosca ne fa un’interpretazione nettamente a proprio vantaggio. E di questo si parlerà alla riunione del Formato Normandia.

Stoltenberg parlava ai cadetti; ha tirato in ballo concetti sulla continuità dell’Alleanza con Kiev; successivamente ha incontrato policy maker nella capitale e co-presieduto con Zelensky un meeting della Commissione Nato-Ucraina. Mentre il segretario generale era lì, quattro navi Nato da Bulgaria, Italia, Romania e Spagna erano ormeggiate nel porto di Odessa, scalo di benvenuto durante una fase di pattugliamento nel Mar Nero.

Dal 2014 si combatte nel Donbas una guerra che è diretta conseguenza dell’occupazione e dell’annessione russa della Crimea; operazioni effettuate fuori dal diritto internazionale. Nella regione orientale ucraina si sono auto-costituite, con l’aiuto russo, due repubbliche indipendentiste, a Donetsk e Lugansk, ma a differenza della situazione crimeana, Kiev in quell’area non ha mai abbandonato il fronte.

L’integrità territoriale è uno di quei concetti che viene spesso tirato in ballo quando parlano i politici europei a proposito della situazione ucraina, che in questi cinque anni ha prodotto circa 13mila morti, più di due milioni di sfollati e migliaia di feriti. Tuttavia la possibilità di mantenere la dimensione territoriale pre-2014 è ormai un concetto vago, e forse vano. Lo stesso Zelensky sembra approcciarvisi con pragmatismo nel tentativo di mediare con Vladimir Putin – da qui lo scatto in avanti a Zolote.

Dietro all’apertura concessa dal presidente Zelensky c’è certamente la necessità realista della pace, ma anche un altro scenario. A fine anno scade il contratto di transito del gas russo dalle pipeline ucraine (chiuso dieci anni fa da Putin e dall’allora premier Yulia Tymoshenko). Si tratta di un elemento dal valore cruciale, perché Mosca paga a Kiev diritti di passaggio che valgono oro per le casse ucraine.

Ma i russi pochi giorni fa hanno ottenuto un cruciale via libera da Copenaghen per far tagliare al Nord Stream 2 quasi centocinquanta chilometri di piattaforma continentale danese. Traiettoria cruciale per permettere l’implementazione definitiva della rotta settentrionale che permetterà alla Gazprom di far arrivare il gas naturale russo in Europa, escludendo il transito ucraino. Il valore del nuovo gasdotto è una preoccupazione sollevata più volte dagli Stati Uniti, che segnalano sia l’aumento dell’interdipendenza energetica europea dalla Russia (le forniture cresceranno di altri 55miliardi di metri cubi), sia l’isolamento di Kiev.

L’Ucraina potrebbe essere indebolita dal punto di vista del valore geopolitico se non si dovesse trovare un modo per rinnovare l’accordo di transito con Mosca. A quel punto il rischio è che il paese diventi più debole ed esposto alle ambizioni d’allargamento dell’influenza da parte del Cremlino. Il passaggio del gas, oggetto di diverse crisi tra i due paesi, è un elemento di bilanciamento.

Chi scrive ha recentemente assistito a un’analisi lucida riguardo i rapporti occidentali con la Russia fatta da Giuliano Amato, presidente onorario dell’Aspen Institute, accademico, giurista, politico, ex premier italiano. Amato, spiegando che dall’Ucraina sono passati i rapporti recenti tra il blocco europeo e Mosca, ha parlato con realismo dell’impossibilità concreta che la Russia torni a indietreggiare sulla Crimea – e probabilmente anche sul Donbas.

Dall’occupazione, Mosca ha iniziato uno stravolgimento socio-culturale e politico della penisola. Ha sostituito le classi dirigenziali locali con cittadini russi; ha smantellato la rete di telecomunicazione ucraina inserendo provider russi che hanno l’obbligo di mantenere l’accesso governativo a tutti i dati; qualsiasi sito non approvato dall’intelligence federale (l’Fsb) è stato disabilitato; l’accesso agli organi di stampa indipendenti è stato negato; parlare anche solo della possibilità del ritorno della Crimea sotto Kiev è diventato un reato.

La crisi crimeana ha effettivamente aperto la stagione di scontro tra Europa e Russia, ha creato il presupposto per le sanzioni, ha alterato le dinamiche di avvicinamento a Putin, che a sua volta ha dimostrato l’interesse a portare avanti attività aggressive in sfregio del diritto internazionale. Il pragmatismo però in questo momento è una delle carte da giocare per fermare la guerra? Pochi giorni fa in un panel romano gli esperti del Centro Razumkov (il più importante think tank ucraino) hanno dipinto come prospettiva per il prossimo futuro quella dello stallo.

Descrivendo un report dettagliato sull’aggressione, gli studiosi ucraini hanno previsto come “più probabile” uno scenario che vede il mantenimento sostanziale dello status quo. Attacchi limitati nel Donbas (il ritiro in effetti non sarà completo), sostegno russo alle province semi-autonome, mantenimento delle sanzioni alla Russia da parte dell’Occidente legato alla situazione. Questo perché né la Russia né l’Ucraina sono pronte a una risoluzione che potrebbe vedere entrambe le parti come perdenti, o come vincitori parziali. A meno di scatti in avanti e progressi istantanei.

L’ambasciatore ucraino in Italia, Yevhen Perelygin, ha recentemente descritto la situazione con maggiore preoccupazione su queste stesse colonne. La Russia non si fermerà, “non ha mai smesso di fare tutto il possibile per raggiungere il suo obbiettivo principale: far tornare l’Ucraina nella zona d’influenza del Cremlino”, dice il diplomatico.

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