Gli Stati Uniti hanno scelto un giorno speciale per attivare nuove sanzioni contro l’Iran, ricordando alla Repubblica islamica che sebbene la situazione nel Golfo abbia avuto una de-escalation discreta — dopo mesi infuocati — la “massima pressione” resta attiva. Nel quarantesimo anniversario dell’assalto all’ambasciata iraniana a Teheran durante la rivoluzione khomeinista, nove dei più intimi consiglieri e collaboratori della Guida Suprema, Ali Khamenei, sono stati sanzionati, e con loro anche l’intero gabinetto di comando delle forze armate iraniane. “Oggi il Dipartimento del Tesoro sta prendendo di mira i funzionari non eletti che circondano il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Khamenei, e attuano le sue politiche destabilizzanti”, ha dichiarato il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, in una nota. Risposta dall’Iran: il portavoce del ministero degli Esteri ha detto che la decisione dimostra “l’incapacità di questa amministrazione di intavolare un colloquio negoziale e un approccio logico alle faccende internazionali”.
Attenzione, perché questa dichiarazione è una stilettata a rischio interno contro Donald Trump. Segue il contesto. Il presidente si vanta da sempre di essere un artista nei negoziati, e vorrebbe usare questa sua capacità per trovare una quadra con Teheran. Dopo aver tirato fuori lo scorso anno gli Usa dal Jcpoa, l’accordo per il contenimento del programma nucleare iraniano, Trump ha subito il continuo aumento delle tensioni in una regione in cui vorrebbe invece ridurre il coinvolgimento e avviare il controllo da remoto. La Casa Bianca ha sempre detto che l’intesa del 2015 era pessima, anche perché non portava la firma di Trump ma del suo detestato predecessore. Nei piani del presidente americano (che ha sempre detto che avrebbe saputo fare di meglio) c’era di riportare alto il livello di pressione contro Teheran, per poi costringere gli iraniani a un nuovo tavolo da cui costruire un accordo ancora più ampio, in grado non solo di agire tecnicamente sul nucleare, ma di creare un’architettura di sicurezza.
Secondo questa volontà negoziale e tutt’altro che guerresca, pur seguendo la strada delle relazioni ruvide, aveva bloccato un attacco di ritorsione dopo che a giugno l’Iran aveva abbattuto un drone statunitense (si preferì agire nel dominio cyber). Ai tempi si parlava di un incontro tra Trump e l’omologo iraniano Hassan Rouhani come di una cosa imminente. L’americano vuole portare in dote ai suoi elettori un accordo con un nemico dell’America. Vuole cioè dimostrare di saper utilizzare nel mondo della politica estera le sue capacità di trattativa affaristica. Vuole dire ai cittadini americani che con lui si raggiungono risultati senza imbarcarsi in guerre infinite, garantendo la massima prosperità americana (“America First!”). Dal ministero degli Esteri di Teheran, guidato da un politico molto esperto, Javad Zarif, non perdono occasione di fargli notare — e far notare al mondo — che questo suo approccio aperto trova opposizione pratica nella sua stessa amministrazione. Zarif lo chiama “il team B”, coloro che dall’interno mantengono la linea durissima e impediscono di fatto a Trump un contatto diretto con l’Iran. Ora va detto che non è chiaro quanto sia reale questa dicotomia o semplicemente frutto di un approccio Mutt&Jeff.
Le sanzioni decise ieri hanno un valore simbolico piuttosto che pratico. Bloccare i beni statunitensi di quei soggetti vicini alla Guida, o impedire ai cittadini americani di fare affari con loro, o ancora limitarne gli spostamenti, è una mossa dai risvolti relativi. Quelle persone che lavorano a diretto contatto con Khamenei si sono già protette e auto limitate sapendo che prima o poi qualcosa del genere sarebbe potuto succedere. Però colpire Mohammad Mohammadi Golpayegani, il capo dello staff della Guida, o Vahid Haghanian, che il dipartimento ha dichiarato “è stato definito la mano destra del Leader supremo”, ha un peso. Lo stesso vale per Ebrahim Raisi, che Khamenei ha nominato a marzo per guidare la magistratura iraniana, e Mojtaba Khamenei, il secondo figlio del capo teocratico del paese.
Sanzionare certe figure, distillato dell’establishment del paese, serve a mandare anche un messaggio agli iraniani scontenti dei loro governanti, o agli iracheni che da settimane scendono in strada per protestare contro il loro governo che si muove come un vassallo di Teheran. Oggi l’Iran ha annunciato di voler aumentare l’arricchimento dell’uranio, compiendo un’altra violazione controllata al Jcpoa. La decisione era programmata, ma potrebbe essere stata resa pubblica oggi per rispondere alle sanzioni Usa di ieri. Oppure le misure sono arrivate da Washington come anticipo alla scelta iraniana.