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La Saudi Aramco in borsa. Bin Salman rispetta i suoi piani

La Saudi Aramco è pronta per essere quotata in borsa e parzialmente privatizzata attraverso le vendita delle azioni. Si tratta di una percentuale minima, non ci sono cifre precise o tempistiche definite, ma si tratta della notizia più importante dell’anno per il mondo della finanza.

Attesa da tempo, dopo l’annuncio del 2016, oggi il regolatore di mercato saudita ha dato semaforo verde al pezzo più importante del grande piano con cui il principe ereditario, Mohammed bin Salman, intende differenziare l’economia del paese e la sua percezione esterna dal mondo del petrolio. La società saudita, che pompa circa il 10 percento del petrolio mondiale e lo scorso anno ha avuto utili per 111 miliardi di dollari, è la compagnia più redditizia a livello globale ed è vista come il gioiello della corona del regno, è la spina dorsale della sua stabilità economica e sociale.

Queste operazioni vengono chiamate IPO, acronimo di Initial Public Offer, secondo il linguaggio finanziario internazionale, anche se al momento sembra che non ci siano piani immediati per lanciarsi sui mercati esteri: “Per la parte di quotazione internazionale, vi faremo sapere a tempo debito. Finora è solo su Tadawul”, ha detto il presidente di Aramco, Yasir al-Rumayyan in una conferenza stampa (Tadawul è la borsa saudita).

Fonti vicine all’offerta hanno detto ad Afp che Aramco dovrebbe vendere un totale del cinque percento su due borse, con un primo passaggio (tecnicamente chiamato listing) del due percento sulla borsa saudita da piazzare a dicembre. Ciò sarebbe seguito l’anno prossimo da una quotazione del tre percento su una borsa estera, che deve ancora essere scelta. Si parla da tempo di New York, Londra o Hong Kong.

Questa assenza di chiarezza completa è in parte tattica, in parte frutto delle dimensioni dell’operazione, e in parte legata a problemi tecnici legati al momento. Per esempio quello annoso sulla valutazione dell’azienda che ha già formalmente bloccato due volte l’operazione. Nel 2016 bin Salman pensava a un valore dell’Aramco attorno ai 2mila miliardi di dollari, ora secondo la Reuters potrebbe accontentarsi di qualcosa tra gli 1,6 e gli 1,7. Un compromesso di mercato legato anche a esigenze politiche.

“Usare Tadawul serve per muovere le cose, dare il messaggio che bin Salman mantiene fede ai suoi piani, senza però esporsi a troppi rischi esterni. Quanto meno per adesso”, ha spiegato Cinzia Bianco, analista tra i migliori esperti del Golfo, in forza all’Ecfr. “Il punto è che al momento non era possibile effettuare il listing internazionale e quindi tutto rischiava di essere rimandato per la terza volta in tre anni. E si rischiava di perdere players che inizialmente avevano espresso forte interesse”.

L’Arabia Saudita ha intensificato gli sforzi per convincere gli investitori al tanto atteso debutto in borsa annunciando un dividendo annuale di 75 miliardi, secondo il sito web della società. Inoltre, spiega Bianco “gli investitori locali e le famiglie finanziariamente più dinamiche sono, diciamo così, caldamente incoraggiati a metterci i soldi quasi come un operazione di patriottismo”.

Tuttavia, i dirigenti di Aramco hanno riscontrato scetticismo tra gli investitori istituzionali a Londra e New York su questioni relative alla trasparenza dell’azienda, alle pratiche di governance e alla valutazione mirata, secondo quanto riferito alla Afp.

Uno dei crucci sfocia anche nella dimensione geopolitica: un mese fa, due dei principali impianti produttivi della Aramco — un sito estrattivo e una gigantesca raffineria — sono finiti sotto un bombardamento organizzato dai ribelli yemeniti Houthi con armi iraniane. L’attacco ha comportato il dimezzamento momentaneo delle produzioni saudite. Con lo scenario regionale esistente — la guerra in Yemen, il confronto con l’Iran, vari punti di instabili — non è detto che episodi del genere non si ripetano. Non è nemmeno chiaro come possa riprendersi dal colpo la Aramco, argomenti che adesso non tranquillizzano gli investitori internazionali.

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