La memoria è giustizia. Una frase che non lascia spazio ad equivoci prima di ripercorrere i fatti di Schio dove la maggioranza del Consiglio comunale della città in provincia di Vicenza ha bocciato una proposta dei consiglieri di minoranza della medesima assemblea consiliare di installare delle pietre di inciampo in ricordo dei cittadini, oppositori della Repubblica di Salò, che furono deportati nei lager nazisti e che non fecero più ritorno. Tra loro c’erano ebrei, antifascisti, anarchici.
Non è un caso che da un convegno sindacale della Uil, tenuto proprio in quella città veneta, dedicato al lavoro, allo sviluppo, al progresso sociale e alla democrazia, sia giunta la proposta rivolta a quei consiglieri riottosi alla memoria di ripensarci, dato che alla sistemazione di quelle pietre ci avrebbero pensato i sindacalisti stessi. Ha detto Paolo Pirani, leader della Uiltec, anche a nome della Uil e della Uiltucs, i cui rappresentanti erano all’assise di Schio: “Noi ci faremo carico di acquistare le pietre di inciampo e sosterremo le spese relative alle incisioni grafiche e alla sistemazione sui marciapiedi della città. Si tratta di un’azione inclusiva e di pace. Sul tema della memoria non ci possono essere divisioni, perché un atteggiamento di chiusura significherebbe non riuscire a credere nel futuro”.
È proprio così, perché la memoria non è solo giustizia, ma anche etica civile. In questo senso, quasi con rassegnazione Ernesto Galli della Loggia prova a spiegare cosa muova quei “membri della maggioranza del Consiglio comunale di Schio”: “No, sono semplicemente degli italiani – ha scritto l’altro ieri l’editorialista del Corriere della Sera-, con una conoscenza della lingua italiana alquanto approssimativa, ma soprattutto con la testa devastata dalla politica come spesso la si intende qui da noi. Convinti cioè che bisogna essere sempre di un’idea diversa da quella degli avversari, che tutto sia, debba per forza essere materia per contrapporsi in una destra ed una sinistra: anche le grandi tragedie della nostra storia e del mondo come lo sterminio di qualche milione di esseri umani colpevoli di essere della ‘razza’ sbagliata. Sospettosi che tutto possa essere strumentalizzato dagli ‘altri’. Il che, tra l’altro, come si sa, per nostra comune vergogna rischia qualche volta di essere anche vero”.
L’Imam Yahya Pallavicini ha riconosciuto che bisogna stare attenti alle strumentalizzazioni: “La lotta alle strumentalizzazioni – scrisse tempo fa in un articolo su laicità e dialogo interreligioso – ai bigottismi, come ai relativismi privi di qualsiasi contenuto e significato reale, può essere fatta solo nell’attiva e condivisa reazione intellettuale che i sapienti e le persone sensibili ed oneste devono continuare a costruire per le presenti e future generazioni della società civile”.
Nella vicenda di Schio risalta un profondo senso di vuoto. Insomma, quel vivere quotidiano in una dimensione esclusivamente contingente che tutto riduce, dal senso della prospettiva a quello dell’identità. Occorre, in ogni caso, stare attenti a quella che può definirsi un’ipertrofia della memoria. La descrive bene Anna Foa, docente universitaria di storia moderna, quando racconta di quello “stato che rischia di far perdere l’indispensabile nesso tra funzione conoscitiva, cioè sapere perché non accada più, e funzione etica, quando i cittadini sono consapevoli dei valori universali e, dunque, migliori”.
Il dono della memoria è una benedizione che nella vita spesso accade. Il ricordo di una tragedia deve servire a far capire ai più giovani il dramma accaduto senza concedere nulla ad un istintivo desiderio di vendetta e perché tanto orrore non possa più ripetersi. Tullia Zevi, scomparsa il 22 gennaio del 2011 e che è stata presidente delle Comunità ebraiche in Italia, ripeteva spesso che bisogna ricordare: “Non sono finiti così milioni di ebrei. Ricordiamoci le centinaia di migliaia di zingari e ricordiamoci anche le centinaia di migliaia di oppositori politici e religiosi del nazismo. Noi ebrei abbiamo questo dovere della testimonianza, perché quello che è accaduto può accadere ancora. Esiste ancora oggi il pericolo del razzismo. Il pericolo di una maggioranza che cerca la propria identificazione attraverso la distruzione di una minoranza diversa. Ancora adesso la presenza di una minoranza viene vissuta, talvolta, come una minaccia alla propria identità”.
Non si può soprassedere. “Nell’indifferenza etica – ha sottolineato più di una volta Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera – crescono i pregiudizi, nell’ignoranza si cementano gli odi e i sospetti; nella perdita dei valori della cittadinanza, scritti mirabilmente nella nostra Costituzione, fermentano i germi di nuove violenze; le comunità regrediscono a forme tribali”. Nel mondo, in Europa, in Italia, in ogni piccolo paese esistono maggioranze di ogni genere che temono la contaminazione delle rispettive minoranze. Delle semplici pietre d’inciampo possono essere costituire quell’ulteriore antidoto alla demonizzazione della diversità. Pietre che, guardandole fanno pensare a valori, tradizioni, culture altrui. Pietre che generano, subito dopo, gusto, curiosità, voglia di conoscere ciò che si ignora.
“Le cose importanti – ha ricordato Nathania Zevi, nipote di Tullia – nella vita accadono”. La memoria, attraverso quelle semplici pietre, rinnova questo giusto insegnamento.