La Russia mostrano i muscoli sull’Artico. Dieci sottomarini russi, salpati la scorsa settimana dalle loro basi nella regione di Murmansk, sono a nord della Norvegia monitorati dai sistemi di controllo della Nato.
L’intelligence di Oslo dice che sono lì per dimostrare la preparazione nel difendere le loro basi e arrivare anche a minacciare la costa orientale degli Stati Uniti. Mosca ha reso pubblica nei giorni scorsi la prima parte dell’operazione, quella nel mare di Barents e norvegese.
29 OCT: Approximate positions of RuNavy submarines in the Norwegian & Barents Sea reported by https://t.co/5J7IWwtB4e pic.twitter.com/Td8KI1m9on
— Mil Radar (@MIL_Radar) October 29, 2019
Per il governo norvegese la flottiglia russa (di cui otto sottomarini sono a proporzione atomica) intende spingersi quanto più possibile nell’Atlantico. Obiettivo tattico-strategico: dimostrare di poter superare il cosiddetto Giuk Gap, il varco nell’oceano a metà tra Regno Unito, Islanda e Groenlandia, doppiando l’isola verso le coste statunitensi. Una rivendicazione di capacità e di forza. Un modo per segnare la sovranità (non legittima e non richiesta) su quel tratto di mare che sta diventando sempre più terra di competizione tra potenze — anche perché con lo scioglimento dei ghiacci le rotte potrebbero essere ancora più nevralgiche, interessata anche dal passaggio di importanti cavi sottomarini.
Oslo ha il ruolo di monitorare da vicino ciò che sta succedendo, coadiuvato dagli altri membri dell’Alleanza Atlantica. Mosca nei giorni scorsi aveva anticipato l’operazione annunciando di aver testato sul Mar Bianco un nuovo missile balistico sottomarino (ICBM, chiamato “Bulava”). È stato lanciato dal “Principe Vladimir”, sommergibile di nuova generazione Classe “Borei”.
La nuova classe di sottomarini può trasportare fino a 20 missili ed è più difficile da rilevare. Un singolo ICBM Bulava può contenere un carico utile da 6 a 10 testate, ha un raggio di oltre 5mila miglia ed è progettato per aggirare le difese antimissile.
Il test è interessante perché è stato il primo del genere da quando gli Stati Uniti si sono ritirati ufficialmente dal Trattato sulle forze nucleari a portata intermedia dell’era della guerra fredda (Inf) con la Russia in agosto. Washington ha accusato Mosca di aver ripetutamente violato il trattato.