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Ilva, fondi Ue e investimenti. Ecco cosa serve al sud (oltre la manovra)

Vedremo al termine di un iter parlamentare che si preannuncia complesso quali saranno i provvedimenti che verranno assunti nella Legge di bilancio per il Mezzogiorno, così come valuteremo nel merito le linee del Piano per il sud che il giovane ministro Provenzano ha affermato essere in via di elaborazione per essere presentato entro l’anno.
Il credito di imposta nell’Italia meridionale ha funzionato negli ultimi anni, attivando investimenti di assoluto rilievo per le loro dimensioni. Si attende inoltre che il 34% della spesa pubblica per investimenti in infrastrutture – come più volte sottolineato nelle ultime settimane dal Presidente Conte e dallo stesso Ministro per il sud – venga riservato alle regioni meridionali.

Nel frattempo, tuttavia, sarebbe auspicabile che nell’Italia meridionale venisse accelerata la spesa dei fondi comunitari del ciclo 2014-2020, sia con i POR a livello regionale che con i PON da parte ministeriale. Lo ribadiamo con forza, perché il rischio che a fine anno alcuni progetti vengano definanziati esiste, stanti i gravissimi ritardi nella loro messa a bando e nella cantierizzazione. Certo, non tutte le regioni del sud sono in ritardo: la Puglia, ad esempio, ha un eccellente livello di impiego dei fondi per gli investimenti industriali – risultando per tale voce la prima regione d’Italia per volumi di investimenti privati attivati con i suoi incentivi – ma è in clamoroso ritardo nell’impiego dei fondi del PSR-Piano di sviluppo rurale che probabilmente a fine anno vedrà la stessa Regione restituire alla UE ingenti somme non spese.

Ecco allora il punto cruciale su cui non ci stancheremo di ripeterci: se le istituzioni del Mezzogiorno – Regioni, Province, Comuni, Città Metropolitane non riusciranno per quanto di rispettiva competenza, ad assicurare un efficiente impiego “rendicontato” delle risorse loro già destinate dalla Ue, ma anche da altre leggi di spesa nazionali, e se non riusciranno a rendere efficace il governo della finanza pubblica di loro esclusiva pertinenza – recuperando, fra l’altro, larghe evasioni di tributi locali – non si potranno stanziare nuove risorse in favore delle aree meridionali, perché esse rischierebbero di restare inutilizzate. Coloro che governano le regioni del Mezzogiorno, a qualunque schieramento appartengano, devono dimostrarsi all’altezza delle sfide che attendono il nostro Paese, e di conseguenza anche gli Enti locali del sud: dalla sanità alla gestione del ciclo dei rifiuti – solo per fare due esempi – in molte aree delI’Italia meridionale si è in presenza di casi di inefficienza ormai non più socialmente ed economicamente sostenibili. Se ne rendono pienamente conto gli Amministratori locali, e con essi larga parte delle popolazioni del sud, che molto spesso con la loro mancanza di senso civico aggravano le inefficienze, quando non anche le colpevoli inettitudini di certi amministratori, a volte improvvisati e molto spesso incompetenti?

Ma c’è un altro terreno su cui si potrebbe intervenire subito se il governo volesse realmente operare in favore dell’Italia meridionale. E ci riferiamo alle linee della politica industriale da perseguirsi hic et nunc nel Mezzogiorno, ma che avrebbero assoluta rilevanza per l’intera industria italiana.

Se ne vogliono alcuni esempi? Eccoli di seguito:

1) deve essere salvaguardata l’integrità produttiva dello stabilimento siderurgico di Taranto, oggi gestito in affitto di ramo d’azienda da ArcelorMittal Italia, propedeutico all’acquisto. Ogni tentativo da chiunque promosso di dismettere l’area a caldo – ancora oggi sotto sequestro con facoltà d’uso – deve essere fermato e nel sito si devono poter completare gli interventi previsti per l’Aia, assicurandosi (in ogni modo) agli attuali gestori le esimenti penali per tutta la fase di completamento del piano ambientale. La grande fabbrica ionica – che è anche il maggiore stabilimento manifatturiero italiano per numero di addetti diretti – è e deve restare il perno della siderurgia del nostro Paese e salvaguardarne capacità produttiva, occupazione diretta e indotta, movimentazioni portuali e persistente incidenza sull’economia locale e nazionale significherebbe compiere (già oggi) azione di forte valenza meridionalistica;

2) è necessario imprimere la massima accelerazione agli investimenti promossi dall’Eni nella Sicilia sud occidentale alla luce dell’Accordo di programma del novembre 2014, nel cui ambito è stata operata la riconversione della raffineria di Gela a bioraffineria. Una parte del piano di investimenti è rallentata da ostacoli burocratici della Regione Sicilia, così come vanno sciolti (una volta per sempre) i nodi che impediscono un pieno rilancio del ciclo dell’alluminio primario in Sardegna, imperniato sui siti tuttora in stand by dell’Eurallumina e dell’ex Alcoa, ora della Sider Alloys;

3) eguale accelerazione deve essere impressa all’entrata in esercizio del giacimento di Tempa Rossa in Basilicata, ove operano Total, Shell e Mitsui – che hanno terminato da oltre un anno i lavori di scavo e allestimento dei pozzi e il loro allaccio al Centro Oli di Corleto Perticara – ma dove almeno sino ad oggi non si è riusciti a partire con le attività estrattive per ostacoli creati dalla Regione Basilicata;

4) il “piano auto” – che il MISE ha deciso di avviare con la costituzione di tavoli tecnici specificamente dedicati alle problematiche che lo caratterizzano – deve considerare l’importanza, nella scacchiera produttiva nazionale del comparto, dei grandi siti di assemblaggio di autoveicoli e dei produttori di componentistica presenti nel Mezzogiorno che con le loro supply chain costituiscono parte significativa dell’industria nazionale del settore. Tale esigenza diventerà sempre più cogente alla luce della fusione decisa da FCA e Gruppo Peugeot;

5) è necessario che nella nuova programmazione dei fondi comunitari per il periodo 2021-2027 si conservi lo strumento dei contratti di sviluppo e dei contratti di programma per le grandi imprese, classificate come tali secondo i parametri comunitari. Tali strumenti di incentivazione – gestiti nella fase di accesso all’agevolazione secondo le procedure della programmazione negoziata – hanno avuto nell’ultimo decennio un vasto impiego in tutte le regioni del Mezzogiorno, e segnatamente in Campania e Puglia, con significativi investimenti, buona parte dei quali inclusivi di programmi di ricerca applicata;

6) è opportuno rivedere le norme che il precedente governo aveva fatto approvare in Parlamento riguardanti il blocco triennale – in attesa di individuare le aree vocate – per la concessione di nuove autorizzazioni per esplorazioni nei mari che costeggiano l’Italia ove si stima che vi siano ingenti riserve di gas e petrolio. La loro attivazione consentirebbe anche nell’Italia meridionale il rilancio di costruzioni navalmeccaniche per l’off-shore che sino al Duemila ebbero nello yard della Belleli nel porto di Taranto uno dei loro maggiori poli nel Mediterraneo;

7) devono accelerarsi gli investimenti programmati dal Mise nei porti di Palermo e Castellammare di Stabia facenti capo alla Fincantieri. Nel primo è previsto, con un impiego di 75 milioni, il rilancio del bacino di carenaggio che consentirebbe nell’area cantieristica del capoluogo siciliano la costruzione anche di navi da crociera. In Campania gli investimenti previsti di eguali dimensioni consentirebbero un consolidamento qualificato delle attuali attività produttive;

8) bisogna favorire anche con interventi specifici di Invitalia, e di concerto con le Regioni e i grandi committenti, il rafforzamento (ma in esclusive logiche di mercato) delle supply chain di vari comparti trainanti dell’industria nel sud – siderurgia, automotive, aerospazio, petrolchimica, energia, etc – che in alcune aree rischiano di essere pesantemente danneggiate dagli interventi previsti da alcuni grandi gruppi (a titolo puramente esemplificativo Taranto per la siderurgia e Brindisi per l’energia);

9) si rende ineludibile una grande piano di riqualificazione infrastrutturale delle aree industriali del Mezzogiorno che in molte zone versano in precarie condizioni che spesso finiscono col danneggiare le aziende che vi sono già insediate, o con l’impedirvi l’insediamento di nuove. Con la collaborazione della Conferenza Stato-Regioni andrebbe compiuta una sistematica ricognizione dello stato delle varie Asi e programmarvi interventi di riqualificazione con un PON nazionale.

10) il credito di imposta automatico – come anticipato del nuovo Ministro per il Mezzogiorno – deve essere proseguito, valutandosi anche la possibilità di modularlo per privilegiare comparti ad alta tecnologia ancora solo parzialmente esistenti nell’Italia meridionale o del tutto assenti.

11) bisogna incrementare in Italia e nel sud gli ITS-Istituti tecnici superiori, le cui attività formative svolte in collaborazione con le aziende hanno sinora assicurato sbocchi occupazionali molto elevati.

Insomma è ormai sempre più politicamente insostenibile, a nostro avviso, attendere ad ogni Legge di bilancio nuovi investimenti per il sud, quando non è ancora a pieno regime la spesa dei fondi già da anni – ripeto, da anni – ad esso destinati ed ignorando quello che (già ora) si potrebbe e si dovrebbe fare per la crescita economica e industriale dell’Italia meridionale, guardando però all’interesse di tutto il Paese.


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