Skip to main content

Trent’anni senza Zaccagnini. L’eredità del politico voluto al vertice Dc da Aldo Moro

Oggi ricorrono trent’anni dalla morte di Benigno Zaccagnini, che è stato segretario della Democrazia cristiana grazie ad una straordinaria intuizione di Aldo Moro e della sua intelligenza politica. Per ricordarlo a Ravenna (era nato a Faenza, nella provincia ravennate), questa mattina ci sarà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Zaccagnini, un uomo che ha rappresentato la politica come un modo esigente di vivere la carità: così insegnava Papa Paolo VI. Insomma, la politica come amore per gli altri. Lo scrisse bene Walter Tobagi nel febbraio del 1980, tre mesi prima di essere ammazzato dalle Brigate Rosse: “Il primo miracolo di Zaccagnini è stato di restituire fiducia ad un partito che pareva destinato al naufragio: l’onesto Zaccagnini, il segretario dalla faccia pulita, il simbolo dell’antipotere che entusiasma le folle, parla ai giovani, risveglia l’anima popolare del partito, reinventa le feste all’insegna dell’amicizia e del confronto-concorrenza con i comunisti”.

Soffrì enormemente per la sorte di Aldo Moro e, soprattutto, per le lettere che lo statista gli inviò prima di morire, chiedendo di salvarlo dalla condanna emessa dai terroristi delle Brigate Rosse. Quel dolore lo accompagnò fino a quel 5 novembre del 1989. Zaccagnini è stato un politico che ha speso gran parte della sua vita a favore del bene. Questo posizionamento è stato ben descritto proprio da Aldo Moro che non si vergognava mai di parlare di cose come il bene ed il male e manteneva la volontà di cercare sempre la verità, di usare le parole giuste per capirla e dirla.

Il 20 gennaio del 1977 il quotidiano Il Giorno pubblicò un suo editoriale intitolato “Il bene non fa notizia, ma c’è”. Molto probabilmente lo lesse anche Benigno Zaccagnini ch’era il segretario della “Balena bianca”, come il giornalista Giampaolo Pansa definiva la Dc. Il presidente democristiano esponeva con determinazione proprio l’eterna lotta tra il bene ed il male, sottolineando le molteplice possibilità di affermazione del primo sul secondo. “Penso all’immensa trama di amore – si legge – che unisce il mondo, ad esperienze religiose autentiche, a famiglie ordinate, a slanci generosi di giovani, a forme di operosa solidarietà con gli emarginati ed il Terzo Mondo, a comunità sociali, al commovente attaccamento di operai al loro lavoro. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Basta guardare là dove troppo spesso non si guarda e interessarsi di quello che troppo spesso non interessa. Questa è la verità delle cose. Questa è la proporzione tra bene e male nella vita. Le anomalie possono essere talvolta vistose, ma vi è una realtà positiva, verso la quale l’attenzione e la segnalazione sono non meno naturali e non meno doverose che non siano quelle che riguardano i momenti negativi della vita umana e sociale. Il bene, anche restando come sbiadito nello sfondo, è più consistente che non appaia, più consistente del male che lo contraddice. La vita si svolge in quanto il male risulta in effetti marginale e lascia intatta la straordinaria ricchezza dei valori di accettazione, di tolleranza, di senso del dovere, di dedizione, di simpatia, di solidarietà, di consenso che reggono il mondo, bilanciando vittoriosamente le spinte distruttive di ingiuste contestazioni. Mi rendo conto che la vistosa preminenza nella cronaca (ed anche nella storia) della contestazione arbitraria (che non è naturalmente il dissenso costruttivo) di fronte alla regola pacificatrice non è facile da rimuovere. Questo fatto di maggiore evidenza non è dovuto del tutto a malsana curiosità, ma in misura rilevante agli elementi problematici (diciamo pure ai temi politici) che l’osservazione della realtà, secondo questo angolo visuale, propone. E tuttavia si insinua così il dubbio che non solo il male sia presente, ma che domini il mondo. Un dubbio che infiacchisce quelle energie morali e politiche che si indirizzano fiduciosamente, pur con una difficile base di partenza, alla redenzione dell’uomo”.

Ripensando a queste parole di Aldo Moro, mai come ora, quando si agisce val la pena di stare sulla barricata, dalla parte del bene. E si può ricordare come Benigno Zaccagnini, “l’onesto Zac”, nella sua vicenda umana e politica abbia cercato di starci, fino alla fine.

CHI ERA BENIGNO ZACCAGNINI

Nato a Faenza (Ravenna) il 17 aprile 1912, deceduto a Ravenna il 5 novembre 1989, medico chirurgo, parlamentare, segretario della Democrazia cristiana dal 1975 al 1980.

Negli anni del regime era stato giovane dirigente di associazioni cattoliche, ma già nel 1934 aveva fatto la sua scelta antifascista. Mobilitato nella Seconda guerra mondiale, prestò servizio nei Balcani come ufficiale medico.

Rientrato dalla Jugoslavia alla fine del 1943, Zaccagnini diresse a Ravenna un movimento clandestino di ispirazione “cristiano sociale” (che sarebbe poi confluito nella Dc), schierato decisamente con la Resistenza. Non a caso, nel marzo del 1944, con la fondazione del Cln provinciale di Ravenna, comunisti, repubblicani e anarchici chiamarono “Tommaso Moro” (questo il nome di copertura del medico antifascista), a presiederlo. Per tutta la durata della Guerra di liberazione, Zaccagnini svolse un’appassionata attività resistenziale. Antifascista senza compromessi, sostenne la lotta armata della Brigata Garibaldi “Ravenna”, della quale entrò a far parte.

Nell’immediato dopoguerra, il medico partigiano diventò il segretario della Sezione ravennate della Dc e presidente della Federazione provinciale coltivatori diretti. Nel 1946 fu membro dell’Assemblea Costituente e dal 1948, eletto al Parlamento, fu riconfermato per le successive legislature. Per oltre 40 anni, Zaccagnini ha avuto importanti ruoli legislativi e di governo e, dal 1975 al 1980, fu segretario nazionale della Dc.

La sua carriera politica fu stroncata dal rapimento e dall’uccisione dell’amico Aldo Moro a opera delle “Brigate Rosse”, essendo Zaccagnini, con i comunisti, sostenitore della “linea della fermezza” nei confronti dei rapitori.

Alla morte di Un riformista con l’animo del rivoluzionario (titolo della biografia scritta da Corrado Belci), l’orazione funebre fu tenuta da Arrigo Boldrini “Bulow”. Sulla casa di Ravenna dove Zaccagnini visse, una lapide ne ricorda “l’apostolato nell’Azione cattolica, per la frontiera della Libertà nella Resistenza, per la politica come servizio nel Paese”. 


×

Iscriviti alla newsletter