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Pressioni su Kiev. Ecco la confessione che inguaia Trump

Dall’altare alla polvere, nel giro di una notte. È un risveglio pesante per il presidente degli Stati Uniti Donald Trump l’audizione dell’ambasciatore Usa presso l’Ue Gordon Sonland alla Camera dei rappresentanti nel corso del procedimento di impeachment giunto ormai alla seconda settimana di convocazioni. Atteso al varco della Commissione Intelligence presieduta dal democratico Adam Schiff, l’imprenditore sessantaduenne e diplomatico è stato torchiato dai parlamentari per quasi due ore e ha completamente ribaltato la versione dei fatti rilasciata al medesimo organo a inizio ottobre.

Allora aveva negato qualsiasi legame fra la sospensione di 400 milioni di aiuti militari americani al governo ucraino e la richiesta di Trump al presidente Vladimir Zelensky di avviare un’indagine sul figlio di Joe Biden, Hunt, e sul suo incarico nella prima società del gas ucraino Burisma. Oggi Sonland ha invece puntato il dito contro l’inquilino dello Studio Ovale confermando il pressing sul governo ucraino: “abbiamo seguito gli ordini del presidente”.

La Casa Bianca e l’intera Capitol Hill avevano gli occhi puntati sulla testimonianza di Sonland, considerata particolarmente sensibile anche a causa di alcune rivelazioni emerse nelle scorse audizioni, come quella dell’ex diplomatico americano in Ucraina William Taylor, secondo cui l’ambasciatore avrebbe rassicurato Trump che Zelensky sarebbe stato disposto a fare “qualsiasi cosa gli avesse richiesto”.

La vicenda è ormai nota. Trump è accusato di aver fatto pressioni sul neopresidente ucraino quest’estate chiedendo a Zelensky in una telefonata dello scorso 25 luglio di indagare su Biden Jr e sull’assegnazione del suo incarico nel board di Burisma. Per convincere Zelensky il presidente si sarebbe avvalso di alcuni diplomatici, Sonland, l’ex inviato speciale degli Usa in Ucraina Kurt Volker, il segretario dell’Energia Rick Perry e del suo avvocato nonché ex sindaco di New York Rudy Giuliani. La telefonata di Trump è stata denunciata da una “talpa”, un’analista della Cia rimasto anonimo e, secondo indiscrezioni di stampa, ora pronto a testimoniare di fronte all’Fbi. Il presidente ha in seguito deciso di pubblicare la trascrizione della chiamata con Zelensky.

La valanga di confessioni di Sonland ha superato le più nere aspettative dell’amministrazione e rischia di segnare una svolta nel procedimento di impeachment avviato dai democratici. Una doccia fredda dopo l’altrettanto attesa audizione, andata in scena ieri, di Volker, che ha negato fermamente qualsiasi collegamento fra lo stop agli aiuti militari per il governo di Kiev e la richiesta di un’indagine giudiziaria contro Biden Jr da parte di Trump. Accuse confermate invece da Sonland. “La risposta è sì”, ha detto il diplomatico, la scure sui rifornimenti militari è legata a doppio filo all’indagine, anche perché non c’era “alcuna ragione plausibile” per interromperli.

Le rivelazioni di Sonland hanno chiamato in causa gran parte dell’establishment trumpiano e rischiano di innescare un terremoto a Pennsylvania Avenue. Fra i nomi tirati in ballo quello di Giuliani, ma anche figure di peso come il segretario di Stato Mike Pompeo, il vicepresidente Mike Pence e il capo dello Staff Mick Mulvaney. “Non volevamo lavorare con Giuliani – ha ammesso Sonland riferendosi anche a Perry e Volker – ma capivamo tutti che se non avessimo collaborato con lui avremmo perso un’importante occasione di rafforzare i rapporti fra Ucraina e Stati Uniti”. Il do ut des fra Washington e Kiev non è mai stato esplicitato da Trump, ha spiegato Sonland, ma “era chiaro a tutti che c’era un legame”.

Con la scure calata dal diplomatico la strada per l’impeachment è ora un po’ meno in salita. Gli stessi repubblicani della Commissione Intelligence di Schiff non nascondono il peso delle sue rivelazioni. Già alla vigilia, un rappresentante doc dell’elefantino e trumpiano di ferro come Mark Meadows aveva definito l’audizione “la carta folle” che tutti avrebbero voluto giocare. Ora non resta che proseguire con le prossime. Magari, è il pensiero che attanaglia un preoccupato Partito repubblicano, chiedendo di sentire l’altra versione della storia, convocando Pompeo e Mulvaney alla Camera. Il rischio è alto, ma la posta in gioco lo è di più.

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